giovedì 20 dicembre 2007

Zen



6,30.
Correre l'alba vetroghiacciata.
L'aria è un cristallo, la luce è un prisma, le dita insensibili.

Sudore, vapore.



Pace.

Ufficiale (diciamo così)


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I pannelli sono arrivati. Ieri sera li ho preparati, quindi...

Se non avete di meglio da fare (ma mi pare difficile) (forse impossibile) vi va un goccio di scadente spumante italiano in bicchieri di plastica e salatini mosci giovedì 27, dalle 18,30, al Beauty Palace di via Fiesole (Toppo Fontanelle) in quella che potrebbe lontanamente ricordare (ma da lontano) (da molto lontano) un'inaugurazione di quelle che molto presuntuosamente (e altrettanto approssimativamente) (si potrebbe anche dire grossolanamente) potrebbero essere definite foto?

mercoledì 19 dicembre 2007

Sperando non ci siano intoppi...


-clicca sull'immagine per ingrandire-




Se non avrò problemi con i pannelli espositivi (che non ho ancora materialmente in mano)(mi tocco le palle) (a pelle) (e stringo anche un po'), giovedì 27 dicembre, dalle 18,30 in poi, tutti gli avventori di questa bettola virtuale sono invitati a quella che potrebbe assomigliare a un'inaugurazione.
Chi si volesse trattenere poi, negli stessi spazi alle 21,30, concerto di Ramberto Ciammarughi. Un grande.

lunedì 17 dicembre 2007

Cent'anni



"l’architettura e il comunismo sono i due strumenti per costruire un mondo migliore"


Auguri, Oscar

giovedì 13 dicembre 2007

Promemoria per un futuro prossimo sventuro



"Nei Balcani nessuno siede dalla parte della ragione abbastanza a lungo da lasciare sul divano l'impronta del suo sommo culo."

(Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue, Rizzoli)

Adorazione



Tra un paio di giorni lo riavremo tra noi.

Come lo Spirito Santo

martedì 11 dicembre 2007

Ancora Chavez


Venezuela: il NO vince al fotofinish
di Tito Pulsinelli

Il referendum per la riforma della Costituzione si è concluso con un vittoria al "fotofinish" del settore che vi si opponeva.
Si è registrato un 44% di astensioni.
Il SI alla riforma ha ottenuto il 49,2% dei voti
Il NO ha ricevuto il 50,7% dei consensi.

Questo significa che c'è stata una differenza di voti che oscilla tra i 125 mila e i 175 mila.
Il "tiranno" Chávez ha immediatamente riconosciuto il verdetto del Consiglio Nazionale Elettorale, ammettendo che la maggioranza della cittadinanza ha respinto la sua proposta. I detrattori e i diffamatori del Venezuela devono arrendersi a una evidenza solare: è un Paese pienamente democratico, dove ci sono state 12 elezioni in 8 anni. E - caso unico - il referendum è uno strumento usato per consultare la cittadinanza su tutte le questioni vitali per il Paese.

L'opposizione è riuscita a tenere a freno la sua ala oltranzista e ha eliminato così il proprio endemico astensionismo. Ha raggiungiunto 4 milioni e mezzo di voti, che è il suo bacino di utenza massima.
Al settore bolivariano che sostiene il Presidente Chávez sono mancati 3 milioni di voti, che nel dicembre dell'anno scorso lo accampagnarono alla presidenza. Perchè? Crisi di legittimità? Inversione improvvisa di tendenza?

La riforma della Costituzione riguardava cambiamenti di fondo che avevano a che vedere con la fisionomia futura del Paese, la rotta che avrebbe dovuto seguire. Era un programma realizzabile nell'arco dei prossimi 20-25 anni, non riguardava la politica e gli indirizzi attuali del governo.
I 3 milioni di voti che mancano all'appello non sono confluiti verso il blocco del NO, non vogliono schierarsi con l'opposizione.
Non è una bocciatura, è un richiamo all'attenzione, a guardare il presente, a mettere un freno alla fuga in avanti. Non si possono trascurare i problemi del presente o illudersi sull'effetto salvifico degli ideologismi.

L'astensionismo bolivariano è spiegabile se non si perde di vista la differenza che c'è tra elettori e militanti, tra consenso attivo e passivo, tra quelli per i quali Chavez è "il Presidente" e non "il Comandante".
Chavez ha uno zoccolo duro di 4 milioni e 300 mila elettori. L'opposizione, nel suo momento di massimo fulgore, ha raggiunto 4 milioni 522 mila sostenitori.
E' una dato che la "dittatura mediatica" non può occultare e che deve meditare, se non vuole passare dal pessimismo cosmico all'ebbrezza trionfalista. Fino a ieri il Venezuela era una "quasi"-dittatura, da oggi cominceranno a suonare la grancassa della crisi di legittimità, nuove elezioni, spallata.

Il Paese esce rafforzato da questa prova. Per la prima volta l'opposizione riconosce e fa propria la legittimità della Costituzione del '99, cioè quella che per molti anni aveva disconosciuto e irriso, e che in quest'ultima fase ha difeso con vigore contro la sua possibile riforma.

www.carmillaonline.com


NOTA: IL "DITTATORE COSTITUZIONALE"

[Tito Pulsinelli si illude che l'accettazione da parte di Chávez del risultato delle urne (addirittura quando si trovava in testa nello spoglio, ma di stretta misura: al che ha dichiarato che preferiva rinunciare a una "vittoria di Pirro") sia stata sufficiente a indurre i media occidentali, tra cui quelli italiani, a riconoscere il carattere democratico del suo governo. Niente affatto. Il 4 dicembre il Corriere della Sera è uscito con un editoriale di Sergio Romano (apologeta del franchismo) in prima pagina e le intere pagine 2 e 3 a carattere monotematico: Chávez resta il caudillo rosso, la sua è una dittatura che opprime e reprime, voleva il potere assoluto ma non gli è riuscito, toccava la sacra proprietà privata, osa ribellarsi all'egemonia americana. Dittatore, dunque; e dato che i suoi comportamenti non sembrano conformarsi alla definizione tradizionale, eccone una nuova di zecca: "dittatore costituzionale". La forma più pericolosa di tirannide.
Corifei di una simile, perpetua condanna, una vera falange: oltre a Sergio Romano, che di falangismo se ne intende, l' "antipolitico" Gian Antonio Stella (divenuto esperto di Venezuela dopo che scrisse un libro divulgativo sull'emigrazione italiana a Caracas, e per sua ammissione trascorse laggiù quindici giorni, in occasione della Fiera del Libro) e - udite udite - Toni Negri. Il quale accusa Chávez di citarlo a sproposito, e di frenare il cammino verso l'autonomia operaia intrapreso da Lula, da Kirchner e dalla signora Bachelet.
Quando si parla di Chávez si formano le più curiose alleanze, e il concetto di democrazia subisce i più strani rimaneggiamenti. Il presidente della Colombia Uribe - un uomo probo, che ha visto i suoi più stretti collaboratori obbligati alle dimissioni per collusione con i paramilitari - sta per varare non per via referendaria, bensì per decreto legge, una modifica costituzionale che lo perpetuerebbe al potere. Ciò va bene a tutti. Il presidente del Messico, Calderón, le rare volte in cui esce di casa trova le locandine di un film - El Fraude, del pluripremiato regista Luís Mandoki - in cui si dimostra che la sua elezione fu frutto di brogli spudorati. Ma chi mai contesterebbe la presidenza Calderón? Persino al pachistano Musharraf è stato perdonato un colpo di Stato, grazie alla promessa di elezioni da tenersi a tempo debito.
Il concetto di "democrazia", nel neoliberismo, è ondeggiante e variabile. Non meraviglia troppo, se si pensa che negli Stati Uniti possono candidarsi alla presidenza e alle maggiori cariche pubbliche solo dei miliardari, e che l'autorità suprema dell'Unione Europea, il governatore della BCE, sfugge a ogni controllo dal basso.
Sia biasimo invece su Hugo Chávez, come lo fu su Daniel Ortega quando, nel 1990, prese atto di essere rimasto in minoranza nelle votazioni. Disobbediscono all'Impero (non quello di Toni Negri, per carità!) dunque sono ipso facto dittatori. Anzi, "dittatori costituzionali". Il peggio del peggio.] (V.E.)

lunedì 10 dicembre 2007

L'anello mancante





... L'anello di congiunzione tra l'uomo e il cane di Pavlov

Dopo più di dieci anni




Addio...




... benvenuto.

Oh I tell you something





Complice la visione di "Across the Univers" di Julie Taymor, nel weekend mi sono fatto di Beatles, ritirando fuori tutti i loro cd e mandandoli senza soluzione di continuità nello stereo...
Diciamo la verità, nei 35 anni successivi ai quattro di Liverpool, la musica pop rock ha fatto niente altro che vivacchiare...


Ed è stato pure difficile limitarsi a fare quello, secondo me.

martedì 4 dicembre 2007

Comunque, secondo me, era meglio continuare a parlare di corsa...





Si può presumere che uno spirito, nel quale il tipo dello “spirito libero” sia destinato a maturare fino all’ultima dolcezza e perfezione, abbia avuto il suo evento decisivo in una grande separazione, e che egli sia stato prima uno spirito tanto più legato e sia apparso tanto più incatenato per sempre alla sua colonna nel suo angolo. Cos’è che lo lega più saldamente? Quali lacci sono quasi impossibili da spezzare?
Per gli uomini di specie alta ed eletta saranno i doveri: quel rispetto che è proprio della gioventù, della soggezione e delicatezza di fronte a tutto ciò che è degno è venerato dall’antichità, quella riconoscenza per il suolo sul quale crebbero, per la mano che li guidò, per il santuario dove impararono a pregare, – i loro stessi più elevati momenti li legheranno nel modo più saldo, li obbligheranno nel modo più durevole. La grande separazione giunge per simili incatenati improvvisa, come una scossa di terremoto: la giovane anima viene d’un colpo scossa, strappata, divelta; essa stessa non capisce quel che accade. Un impulso e un’urgenza sorgono in essa e se ne impossessano imperiosamente; si svegliano in essa una volontà e un desiderio di andare avanti, dove che sia, a ogni costo; un’ardente, pericolosa curiosità verso un mondo ignoto serpeggia fiammeggiando in tutti i suoi sensi. “piuttosto morire che vivere qui”, così parla la voce imperiosa della seduzione; e questo “qui”, questo “a casa” è tutto ciò che fino ad allora la giovane anima aveva amato! Un subitaneo orrore e sospetto verso ciò che amava, un lampo di disprezzo verso ciò che per essa significava “dovere”, una smania ribelle, capricciosa, vulcanicamente impetuosa, di peregrinare, espatriare, estraniarsi, raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi, un odio per l’amore, forse uno sguardo e un gesto sacrileghi all’indietro, là dove aveva finora amato e pregato, forse un rossore di vergogna per ciò che aveva appena fatto, e nello stesso tempo un’esultanza per averlo fatto, un ebbro, profondo, esaltante brivido, in cui si rivela una vittoria, – una vittoria? Su che? Su chi? Una vittoria enigmatica, piena di interrogativi, problematica, ma comunque la prima vittoria: – simili cose tristi e dolorose appartengono alla storia della grande separazione.
È in pari tempo una malattia che può distruggere l’uomo, questo primo scoppio di forza e di volontà di autodeterminarsi: di porre da sé dei valori, questa volontà di volontà libera: e quanta malattia si esprime nei selvaggi tentativi e stranezze con cui il liberato, il separato, cerca ormai di dimostrare a se stesso il suo dominio sulle cose. Va girovagando con animo crudele, con bramosia insoddisfatta; quel che riporta come preda, lo deve pagare con la pericolosa tensione del suo orgoglio; egli fa a brani ciò che lo affascina.
Con una risata cattiva capovolge le cose che trova velate, risparmiate da un qualche pudore: vuol provare come esse appaiano, quando siano messe a testa in giù.
Per capriccio, per puro gusto del capriccio, egli rivolge il suo favore a quanto finora è stato in cattiva fama: s’aggira, curioso e tentatore, intorno alle cose più proibite. Sullo sfondo della sua agitazione, del suo vagabondaggio – poiché è sempre in cammino, inquieto e senza meta come in un deserto – incombe il punto interrogativo di una curiosità sempre più pericolosa. “Non si possono capovolgere tutti i valori? Ed è forse bene il male? E Dio solo un’invenzione e una finezza del Diavolo? È forse tutto in ultima analisi falso? E se noi siamo degli ingannati, non siamo per ciò stesso anche ingannatori? Non dobbiamo essere anche ingannatori?”. Tali pensieri lo seducono e lo conducono sempre più lontano, sempre più lontano. La solitudine lo circonda e lo stringe, sempre più minacciosa, soffocante, quella terribile dea e mater saeva cupidinum – ma chi sa oggi cosa sia la solitudine?

(Umano, troppo umano, Friedrich Nietzche; Vol. I, prefazione, cap. 3)

lunedì 3 dicembre 2007

Election days


Ieri elezioni politiche in Russia, e referendum costituzionale in Venezuela.

Sul pesante clima russo troverete molto in giro, su carta o in rete, voglio qui postare un approfondimento sul voto di Caracas, area strategica spesso (quasi sempre) trattata con toni macchiettistici dal giornalismo italiano, ultimo tra i già pessimi giornalisti occidentali mainstream.

Come diceva Twain, d'altronde, un giornalista è quello che sa capire la differenza tra una notizia e una balla. E poi pubblica una balla.


Venezuela, la dittatura che non c'è
lunedì 3 dicembre 2007 - 12:06:27, in America Latina


I risultati ufficiali resi noti stanotte a Caracas, dicono che i NO alla trasformazione in senso socialista della Costituzione bolivariana del 1999, voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero vinto con una differenza di appena 124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo il 50.7% di voti contro il 49,3% di Sì. Dato decisivo è stato la crescita dell'astensione, al 45% contro il 30% circa di tutte le consultazioni importanti degli ultimi anni.

Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno di invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva, alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi di sempre.

IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima espansione.

Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano.

Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso allendista e ancor di più berlingueriano: "la rivoluzione per via elettorale non si può fare con il 51% dei voti". Durante la campagna elettorale cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si tratta di fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma di fare un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e in democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con un margine ristretto di voti.

Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri. Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto rinunciare.

La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla continua manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano.

L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!).

MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno importante del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un burattino del regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche migliaia di voti. Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente riconosciuto la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle, tutte balle e qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere, dalla stampa venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi Battista, i Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais.

La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le opinioni? Forza, fuori i fatti!

In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti di opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad esserci un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena libertà di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad avere dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso gli stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile 2002.

La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si espandesse.

E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi media di comunicazione è sempre stato un antichavismo ideologico. In questi anni non hanno mai raccontato il Venezuela bolivariano, non hanno mai criticato Chávez per i mille difetti o errori che può avere commesso in questi anni. Quelli non importavano; era più facile costruire una maschera di bugie intorno al verboso negraccio dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete, del fallimento storico del neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia partecipativa e degli sforzi sovrumani per restituire dignità a milioni di vittime del modello instaurato in America latina.

Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati indipendenti ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale. Siccome il pensiero unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia chiunque osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va castigato, denigrato, demonizzato.

E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura...

http://www.gennarocarotenuto.it/public/post/venezuela-la-dittatura-che-non-c-e-1435.asp

Per avere un quadro più preciso dei contenuti della riforma costituzionale proposta da Chavez, si può andare qui: http://www.carmillaonline.com/archives/2007/12/002457.html

Ah che artistone! Quanta creatività! Ah la musica italiana d'autore!



andate qui

http://it.youtube.com/watch?v=SLGCv4PSv-I


poi magari fate un salto anche qui


http://it.youtube.com/watch?v=wgbcfccCDwE