giovedì 20 dicembre 2007

Zen



6,30.
Correre l'alba vetroghiacciata.
L'aria è un cristallo, la luce è un prisma, le dita insensibili.

Sudore, vapore.



Pace.

Ufficiale (diciamo così)


clicca sull'immagine per ingrandirla




I pannelli sono arrivati. Ieri sera li ho preparati, quindi...

Se non avete di meglio da fare (ma mi pare difficile) (forse impossibile) vi va un goccio di scadente spumante italiano in bicchieri di plastica e salatini mosci giovedì 27, dalle 18,30, al Beauty Palace di via Fiesole (Toppo Fontanelle) in quella che potrebbe lontanamente ricordare (ma da lontano) (da molto lontano) un'inaugurazione di quelle che molto presuntuosamente (e altrettanto approssimativamente) (si potrebbe anche dire grossolanamente) potrebbero essere definite foto?

mercoledì 19 dicembre 2007

Sperando non ci siano intoppi...


-clicca sull'immagine per ingrandire-




Se non avrò problemi con i pannelli espositivi (che non ho ancora materialmente in mano)(mi tocco le palle) (a pelle) (e stringo anche un po'), giovedì 27 dicembre, dalle 18,30 in poi, tutti gli avventori di questa bettola virtuale sono invitati a quella che potrebbe assomigliare a un'inaugurazione.
Chi si volesse trattenere poi, negli stessi spazi alle 21,30, concerto di Ramberto Ciammarughi. Un grande.

lunedì 17 dicembre 2007

Cent'anni



"l’architettura e il comunismo sono i due strumenti per costruire un mondo migliore"


Auguri, Oscar

giovedì 13 dicembre 2007

Promemoria per un futuro prossimo sventuro



"Nei Balcani nessuno siede dalla parte della ragione abbastanza a lungo da lasciare sul divano l'impronta del suo sommo culo."

(Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue, Rizzoli)

Adorazione



Tra un paio di giorni lo riavremo tra noi.

Come lo Spirito Santo

martedì 11 dicembre 2007

Ancora Chavez


Venezuela: il NO vince al fotofinish
di Tito Pulsinelli

Il referendum per la riforma della Costituzione si è concluso con un vittoria al "fotofinish" del settore che vi si opponeva.
Si è registrato un 44% di astensioni.
Il SI alla riforma ha ottenuto il 49,2% dei voti
Il NO ha ricevuto il 50,7% dei consensi.

Questo significa che c'è stata una differenza di voti che oscilla tra i 125 mila e i 175 mila.
Il "tiranno" Chávez ha immediatamente riconosciuto il verdetto del Consiglio Nazionale Elettorale, ammettendo che la maggioranza della cittadinanza ha respinto la sua proposta. I detrattori e i diffamatori del Venezuela devono arrendersi a una evidenza solare: è un Paese pienamente democratico, dove ci sono state 12 elezioni in 8 anni. E - caso unico - il referendum è uno strumento usato per consultare la cittadinanza su tutte le questioni vitali per il Paese.

L'opposizione è riuscita a tenere a freno la sua ala oltranzista e ha eliminato così il proprio endemico astensionismo. Ha raggiungiunto 4 milioni e mezzo di voti, che è il suo bacino di utenza massima.
Al settore bolivariano che sostiene il Presidente Chávez sono mancati 3 milioni di voti, che nel dicembre dell'anno scorso lo accampagnarono alla presidenza. Perchè? Crisi di legittimità? Inversione improvvisa di tendenza?

La riforma della Costituzione riguardava cambiamenti di fondo che avevano a che vedere con la fisionomia futura del Paese, la rotta che avrebbe dovuto seguire. Era un programma realizzabile nell'arco dei prossimi 20-25 anni, non riguardava la politica e gli indirizzi attuali del governo.
I 3 milioni di voti che mancano all'appello non sono confluiti verso il blocco del NO, non vogliono schierarsi con l'opposizione.
Non è una bocciatura, è un richiamo all'attenzione, a guardare il presente, a mettere un freno alla fuga in avanti. Non si possono trascurare i problemi del presente o illudersi sull'effetto salvifico degli ideologismi.

L'astensionismo bolivariano è spiegabile se non si perde di vista la differenza che c'è tra elettori e militanti, tra consenso attivo e passivo, tra quelli per i quali Chavez è "il Presidente" e non "il Comandante".
Chavez ha uno zoccolo duro di 4 milioni e 300 mila elettori. L'opposizione, nel suo momento di massimo fulgore, ha raggiunto 4 milioni 522 mila sostenitori.
E' una dato che la "dittatura mediatica" non può occultare e che deve meditare, se non vuole passare dal pessimismo cosmico all'ebbrezza trionfalista. Fino a ieri il Venezuela era una "quasi"-dittatura, da oggi cominceranno a suonare la grancassa della crisi di legittimità, nuove elezioni, spallata.

Il Paese esce rafforzato da questa prova. Per la prima volta l'opposizione riconosce e fa propria la legittimità della Costituzione del '99, cioè quella che per molti anni aveva disconosciuto e irriso, e che in quest'ultima fase ha difeso con vigore contro la sua possibile riforma.

www.carmillaonline.com


NOTA: IL "DITTATORE COSTITUZIONALE"

[Tito Pulsinelli si illude che l'accettazione da parte di Chávez del risultato delle urne (addirittura quando si trovava in testa nello spoglio, ma di stretta misura: al che ha dichiarato che preferiva rinunciare a una "vittoria di Pirro") sia stata sufficiente a indurre i media occidentali, tra cui quelli italiani, a riconoscere il carattere democratico del suo governo. Niente affatto. Il 4 dicembre il Corriere della Sera è uscito con un editoriale di Sergio Romano (apologeta del franchismo) in prima pagina e le intere pagine 2 e 3 a carattere monotematico: Chávez resta il caudillo rosso, la sua è una dittatura che opprime e reprime, voleva il potere assoluto ma non gli è riuscito, toccava la sacra proprietà privata, osa ribellarsi all'egemonia americana. Dittatore, dunque; e dato che i suoi comportamenti non sembrano conformarsi alla definizione tradizionale, eccone una nuova di zecca: "dittatore costituzionale". La forma più pericolosa di tirannide.
Corifei di una simile, perpetua condanna, una vera falange: oltre a Sergio Romano, che di falangismo se ne intende, l' "antipolitico" Gian Antonio Stella (divenuto esperto di Venezuela dopo che scrisse un libro divulgativo sull'emigrazione italiana a Caracas, e per sua ammissione trascorse laggiù quindici giorni, in occasione della Fiera del Libro) e - udite udite - Toni Negri. Il quale accusa Chávez di citarlo a sproposito, e di frenare il cammino verso l'autonomia operaia intrapreso da Lula, da Kirchner e dalla signora Bachelet.
Quando si parla di Chávez si formano le più curiose alleanze, e il concetto di democrazia subisce i più strani rimaneggiamenti. Il presidente della Colombia Uribe - un uomo probo, che ha visto i suoi più stretti collaboratori obbligati alle dimissioni per collusione con i paramilitari - sta per varare non per via referendaria, bensì per decreto legge, una modifica costituzionale che lo perpetuerebbe al potere. Ciò va bene a tutti. Il presidente del Messico, Calderón, le rare volte in cui esce di casa trova le locandine di un film - El Fraude, del pluripremiato regista Luís Mandoki - in cui si dimostra che la sua elezione fu frutto di brogli spudorati. Ma chi mai contesterebbe la presidenza Calderón? Persino al pachistano Musharraf è stato perdonato un colpo di Stato, grazie alla promessa di elezioni da tenersi a tempo debito.
Il concetto di "democrazia", nel neoliberismo, è ondeggiante e variabile. Non meraviglia troppo, se si pensa che negli Stati Uniti possono candidarsi alla presidenza e alle maggiori cariche pubbliche solo dei miliardari, e che l'autorità suprema dell'Unione Europea, il governatore della BCE, sfugge a ogni controllo dal basso.
Sia biasimo invece su Hugo Chávez, come lo fu su Daniel Ortega quando, nel 1990, prese atto di essere rimasto in minoranza nelle votazioni. Disobbediscono all'Impero (non quello di Toni Negri, per carità!) dunque sono ipso facto dittatori. Anzi, "dittatori costituzionali". Il peggio del peggio.] (V.E.)

lunedì 10 dicembre 2007

L'anello mancante





... L'anello di congiunzione tra l'uomo e il cane di Pavlov

Dopo più di dieci anni




Addio...




... benvenuto.

Oh I tell you something





Complice la visione di "Across the Univers" di Julie Taymor, nel weekend mi sono fatto di Beatles, ritirando fuori tutti i loro cd e mandandoli senza soluzione di continuità nello stereo...
Diciamo la verità, nei 35 anni successivi ai quattro di Liverpool, la musica pop rock ha fatto niente altro che vivacchiare...


Ed è stato pure difficile limitarsi a fare quello, secondo me.

martedì 4 dicembre 2007

Comunque, secondo me, era meglio continuare a parlare di corsa...





Si può presumere che uno spirito, nel quale il tipo dello “spirito libero” sia destinato a maturare fino all’ultima dolcezza e perfezione, abbia avuto il suo evento decisivo in una grande separazione, e che egli sia stato prima uno spirito tanto più legato e sia apparso tanto più incatenato per sempre alla sua colonna nel suo angolo. Cos’è che lo lega più saldamente? Quali lacci sono quasi impossibili da spezzare?
Per gli uomini di specie alta ed eletta saranno i doveri: quel rispetto che è proprio della gioventù, della soggezione e delicatezza di fronte a tutto ciò che è degno è venerato dall’antichità, quella riconoscenza per il suolo sul quale crebbero, per la mano che li guidò, per il santuario dove impararono a pregare, – i loro stessi più elevati momenti li legheranno nel modo più saldo, li obbligheranno nel modo più durevole. La grande separazione giunge per simili incatenati improvvisa, come una scossa di terremoto: la giovane anima viene d’un colpo scossa, strappata, divelta; essa stessa non capisce quel che accade. Un impulso e un’urgenza sorgono in essa e se ne impossessano imperiosamente; si svegliano in essa una volontà e un desiderio di andare avanti, dove che sia, a ogni costo; un’ardente, pericolosa curiosità verso un mondo ignoto serpeggia fiammeggiando in tutti i suoi sensi. “piuttosto morire che vivere qui”, così parla la voce imperiosa della seduzione; e questo “qui”, questo “a casa” è tutto ciò che fino ad allora la giovane anima aveva amato! Un subitaneo orrore e sospetto verso ciò che amava, un lampo di disprezzo verso ciò che per essa significava “dovere”, una smania ribelle, capricciosa, vulcanicamente impetuosa, di peregrinare, espatriare, estraniarsi, raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi, un odio per l’amore, forse uno sguardo e un gesto sacrileghi all’indietro, là dove aveva finora amato e pregato, forse un rossore di vergogna per ciò che aveva appena fatto, e nello stesso tempo un’esultanza per averlo fatto, un ebbro, profondo, esaltante brivido, in cui si rivela una vittoria, – una vittoria? Su che? Su chi? Una vittoria enigmatica, piena di interrogativi, problematica, ma comunque la prima vittoria: – simili cose tristi e dolorose appartengono alla storia della grande separazione.
È in pari tempo una malattia che può distruggere l’uomo, questo primo scoppio di forza e di volontà di autodeterminarsi: di porre da sé dei valori, questa volontà di volontà libera: e quanta malattia si esprime nei selvaggi tentativi e stranezze con cui il liberato, il separato, cerca ormai di dimostrare a se stesso il suo dominio sulle cose. Va girovagando con animo crudele, con bramosia insoddisfatta; quel che riporta come preda, lo deve pagare con la pericolosa tensione del suo orgoglio; egli fa a brani ciò che lo affascina.
Con una risata cattiva capovolge le cose che trova velate, risparmiate da un qualche pudore: vuol provare come esse appaiano, quando siano messe a testa in giù.
Per capriccio, per puro gusto del capriccio, egli rivolge il suo favore a quanto finora è stato in cattiva fama: s’aggira, curioso e tentatore, intorno alle cose più proibite. Sullo sfondo della sua agitazione, del suo vagabondaggio – poiché è sempre in cammino, inquieto e senza meta come in un deserto – incombe il punto interrogativo di una curiosità sempre più pericolosa. “Non si possono capovolgere tutti i valori? Ed è forse bene il male? E Dio solo un’invenzione e una finezza del Diavolo? È forse tutto in ultima analisi falso? E se noi siamo degli ingannati, non siamo per ciò stesso anche ingannatori? Non dobbiamo essere anche ingannatori?”. Tali pensieri lo seducono e lo conducono sempre più lontano, sempre più lontano. La solitudine lo circonda e lo stringe, sempre più minacciosa, soffocante, quella terribile dea e mater saeva cupidinum – ma chi sa oggi cosa sia la solitudine?

(Umano, troppo umano, Friedrich Nietzche; Vol. I, prefazione, cap. 3)

lunedì 3 dicembre 2007

Election days


Ieri elezioni politiche in Russia, e referendum costituzionale in Venezuela.

Sul pesante clima russo troverete molto in giro, su carta o in rete, voglio qui postare un approfondimento sul voto di Caracas, area strategica spesso (quasi sempre) trattata con toni macchiettistici dal giornalismo italiano, ultimo tra i già pessimi giornalisti occidentali mainstream.

Come diceva Twain, d'altronde, un giornalista è quello che sa capire la differenza tra una notizia e una balla. E poi pubblica una balla.


Venezuela, la dittatura che non c'è
lunedì 3 dicembre 2007 - 12:06:27, in America Latina


I risultati ufficiali resi noti stanotte a Caracas, dicono che i NO alla trasformazione in senso socialista della Costituzione bolivariana del 1999, voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero vinto con una differenza di appena 124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo il 50.7% di voti contro il 49,3% di Sì. Dato decisivo è stato la crescita dell'astensione, al 45% contro il 30% circa di tutte le consultazioni importanti degli ultimi anni.

Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno di invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva, alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi di sempre.

IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima espansione.

Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano.

Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso allendista e ancor di più berlingueriano: "la rivoluzione per via elettorale non si può fare con il 51% dei voti". Durante la campagna elettorale cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si tratta di fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma di fare un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e in democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con un margine ristretto di voti.

Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri. Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto rinunciare.

La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla continua manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano.

L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!).

MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno importante del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un burattino del regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche migliaia di voti. Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente riconosciuto la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle, tutte balle e qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere, dalla stampa venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi Battista, i Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais.

La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le opinioni? Forza, fuori i fatti!

In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti di opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad esserci un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena libertà di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad avere dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso gli stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile 2002.

La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si espandesse.

E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi media di comunicazione è sempre stato un antichavismo ideologico. In questi anni non hanno mai raccontato il Venezuela bolivariano, non hanno mai criticato Chávez per i mille difetti o errori che può avere commesso in questi anni. Quelli non importavano; era più facile costruire una maschera di bugie intorno al verboso negraccio dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete, del fallimento storico del neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia partecipativa e degli sforzi sovrumani per restituire dignità a milioni di vittime del modello instaurato in America latina.

Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati indipendenti ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale. Siccome il pensiero unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia chiunque osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va castigato, denigrato, demonizzato.

E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura...

http://www.gennarocarotenuto.it/public/post/venezuela-la-dittatura-che-non-c-e-1435.asp

Per avere un quadro più preciso dei contenuti della riforma costituzionale proposta da Chavez, si può andare qui: http://www.carmillaonline.com/archives/2007/12/002457.html

Ah che artistone! Quanta creatività! Ah la musica italiana d'autore!



andate qui

http://it.youtube.com/watch?v=SLGCv4PSv-I


poi magari fate un salto anche qui


http://it.youtube.com/watch?v=wgbcfccCDwE

venerdì 30 novembre 2007

giovedì 8 novembre 2007

In che paese viviamo



Nel 20,2% dei casi denunciati (che a loro volta sono solo il 43% dei casi segnalati) lo stupratore è il marito della vittima;
nel 23,8% il colpevole è un amico;
nel 17,4% è il fidanzato;
nel 12,3% è un conoscente.

Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.

(dati ISTAT, 2005)

Il 50% delle vittime di stupri che avvengono in strada sono donne straniere.

(Soccorso Violenze Sessuali della Clinica Mangiagalli di Milano)

La media italiana è di 100 uxoricidi all'anno.
(dati ISTAT)

"Oramai uccide più la famiglia che la mafia."
(Guido Papalia, procuratore di Verona)

Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo. Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.

Soltanto nel 3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.

martedì 6 novembre 2007

Una vita Esesionale




Questo blog sta sempre più diventando come la pagina dei coccodrilli dei quotidiani di provincia... ormai lo aggiorno per lo più per ricorrenze legate alla scomparsa di qualcuno.

Comunque, non mi sottrarrò all'andazzo.

Addio Barone, il motivo con Falcao Conti Di Bartolomei e Pruzzo per cui ho iniziato a tifare AS Roma venticinque anni fa, la mancanza per la quale del calcio di oggi è sempre più difficile restare appassionati.

Classe infinita, da giocatore e da allenatore, classe infinita da uomo.

http://www.youtube.com/watch?v=5cCX9QGlhCw

PS è morto anche Biagi, anche per lui un piccolo pensiero. Non lo ho mai considerato un guru, ma certo un uomo che ha dato tutto al suo lavoro. Rispetto.

giovedì 4 ottobre 2007

Trova le differenze!




Stavolta è difficile... le differenze però, per quanto impercettibile, ci dovrebbero essere...

Sputnik



50 anni fa si riusciva ancora a sognare il futuro.

E, magari, a cercare di raggiungerlo.

(nella foto, lo Sputnik, il primo satellite, sovietico, a raggiungere l'orbitra terrestre)

lunedì 1 ottobre 2007

Punto e basta


Un punto piccoletto
Superbio e iracondo
“Dopo di me “gridava
“verrà la fine del mondo “
Le parole protestarono:
“Ma che grilli hai per il capo,
ti credi un punto e basta
e non sei che un punto e a capo”
Così tutto solo e a mezza pagina lo piantarono in asso
E il mondo continuò una linea più in basso.

Gianni Rodari, "il punto piccoletto"



(nella foto, un punto a capo giamaicano)


PS ieri alla "correre per vivere", 12 km con arrivo in piazza IV Novembre, sono ufficialmente sceso a una media di 4'22'' a chilometro. E nell'allungo finale ho avuto la meglio contro i miei due rivali di turno. (http://atleticainumbria.it/2007/07-09-30-Correrexvivere.htm)

Ci risentiamo quando avrò più tempo. Spero. Di avere più tempo, dico.

PPS la Roma è sempre la Rometta, e lo abbi a dire già domenica quando non riuscì a vincere a Firenze.

martedì 25 settembre 2007

Tre e quattordici




Alle 6,15 di mattina non c’è il sole. Verrà su verso le 6,50, come ho imparato nelle ultime due settimane nelle quali ho preso l’abitudine di alzarmi in orari per me impensabili prima, vedendo l'alba ogni giorno cinque minuti dopo del giorno precedente.

Per correre.

Privilegiato a pensarsi il primo a vedere il verso della giornata che sarà e a respirare un’aria non ancora corrotta dalle fatiche e dalle pesantezze del lavoro e del lavorìo della sua inevitabile immanenza che balena sulle prime auto di una strada vuota che, umida, a quell'ora odora come potrebbe l’erba appena tagliata.

Il riso è pronto, l’ho preparato ieri sera insieme agli altri ingredienti con cui da lì a pochi minuti farò una prima abbondante e lauta colazione.
Nel “pastone”che preparo aggiungo il latte, che non è molto indicato, ma è per me irrinunciabile. Vorrà dire che dovrò prepararmi a allungare ogniqualvolta, soprattutto nei primi chilometri, si presenterà la necessità di inserire il mio specialissimo “turbo” non catalittico.
Irrinunciabile, come la prima sigaretta dopo il caffè. Più che un podista, un po’ dista.
Un po’ tanto distante dagli standard del genere.

Alle 7,45 puntuali ci incontriamo col Massi, rapido trasbordo di tute e integratori (suoi) sulla macchina (mia) e si parte alla volta di Ponte San Giovanni.
Raggiungo i miei nuovi compagni di squadra dell’Atletica Avis Perugia e poi il bancone iscrizione per pagare la mia quota. Questa mezza maratona m’è costata parecchio: dai 45 Euro per la visita sportiva specialistica, i 12 euro d’iscrizione, agli euro per l’equipaggiamento tra scarpe e materiale tecnico dry-fit. M’è costata sacrificio in termini di costanza e fatica, coi pomeriggi e le mattine passate a correre, la disciplina necessaria nell’alimentazione e nel riposo.
Non che sia un professionista, intendiamoci. Ma se devi fare una cosa devi farla bene e con tutti i crismi, soprattutto portala fino in fondo. E’ un po’ così: non esiste provare, solo riuscire. Disciplina da Armata Rossa che mi fa godere.

M’è costata questa 21 chilometri da Ponte San Giovanni a Torgiano e ritorno, ma quello che m’ha dato indietro, fin qui, fa andare il saldo nettamente a mio favore.
Una maggiore disciplina, non solo nel regime sportivo, ma anche nell’organizzazione della giornata, la scoperta di gente nuova che ruota intorno a questo meraviglioso sport, alla sorpresa di posti di una natura lussureggiante e lussuriosa che sbucano in piena città non appena ti allontani dalla strada principale che sei abituato a percorrere in macchina e che fa da binario alla tua giornata da treno incatenato all’abitudine delle scadenze e del lavoro. La sorpresa anche di te stesso e dei tuoi limiti, capire quanti ne hai e che lavorandoci è possibile superarli, anche di poco. Tenere duro quando non ce la fai, gestirsi nel medio periodo, superare i momenti di crisi.

Ritiro quello che spero essere solo il primo pettorale della mia vita.
181.
Siamo circa in mille a essere iscritti a tutte e due le competizioni (10 e 21 km), dicono.

Il clima è bellissimo, reso ancora più bello dai miei occhi ancora immacolati al clima di queste manifestazioni: bande, motoclub a far da passerella d’apertura, tanta gente, bambini, anche alcuni stand di promozione (c’è quello dell’adidas, e allora mi sento uno serio al cospetto del Brand With Three Stripes. Penso alle mie Gazelle. M'inchino intimamente).

Piccolo riscaldamento, non prima di sciogliere il dubbio amletico sull’abbigliamento cercando di capire se correre solo in canottiera mi esporrà a influenze o colpi d’aria e non prima di sciogliere il dubbio di quanto questo ragionamento assomigli a quello della “maglietta della salute” della mamma.

Si parte.

L’obiettivo è (in ordine crescente): finire la gara arrivando all’arrivo, finire la gara arrivando all’arrivo possibilmente correndo, finire la gara correndo sulla soglia della decenza podistica (5 minuti al chilometro), finire la gara tra i primi 500 (siamo tra competitivi e non circa 800), finire la gara tra i primi 350, finire la gara tra i primi 100, finire la gara tra i primi 50, tra i primi 10, vincere la gara.

Ottimisticamente ritengo che i primi due siano alla mia portata, e forse anche il terzo.
Ritengo improbabile la vittoria, a meno di una bomba sul tragitto abbinata alle mitragliatrici di un qualche gruppo terroristico di rivendicazione dei diritti dei lavavetri.

I primi chilometri corro affiancato al Massi, decidendo di non forzare per riuscire a centrare il primo obiettivo, quello di finire la gara, gestendo lo sforzo. Ma sto bene, la giornata è serena e l’aria frizza tra i peli delle narici.
Le gambe sono leggere (i due giorni di riposo presi mi hanno dato freschezza) e anche il dolorino accusato nella sgambata del giovedì dietro il ginocchio destro, quello infortunato a febbraio e che mi aveva preoccupato nei due giorni di astinenza dal podismo, sembra non esserci.

Decido quindi abbastanza presto di aumentare leggermente il ritmo. Distanzio il Massi di poche centinaia di metri e corro da solo per alcuni chilometri. Arrivo al decimo chilometro (affiancato di nuovo dal Massi che nel frattempo ha deciso che si è scaldato e ha aumentato anche lui il ritmo) appena uscito dal centro di Torgiano sul tempo di 51 minuti abbondanti. Sto ancora bene, anzi più passano i chilometri e più mi rendo conto che la falcata resta fluida, i pensieri sono coordinati al respiro e il senso di benessere è di molto superiore alla fatica. In più dalla partenza (che ho fatto di almeno un minuto dopo quelli più prossimi alla linea) non ho fatto che superare, superato solo una volta da un tipo pelato che conosco bene di vista vedendolo correre spesso al Percorso Verde. Decido di fare la corsa su di lui.
Sono sopra la media dei 5 minuti, ma non di molto. Aumento progressivamente ritmo e falcata. Arrivo ai 15 chilometri col pelato a fianco: il ritmo del respiro di quelli che affianco e supero denuncia note baritonali di fatica che mi danno forza. Il mio esercizio aerobico è costante, ancora dolce, non viziato da affanno. Ho anche espettorato meno umori del solito. Mi sento ancora in stato di Grazia. Massi non lo vedo già da un po’.
Diciassettesimo chilometro. Tiro fuori mezza pastiglia di enervit per lo sprint finale. E’ buona, sa d’arancio, e allora ne mastico un’altra solo per il gusto. Intanto il pelato sta cedendo, lo sento, lo sto per piantare lì, ne sono sicuro, questo lo inchido, vai così; così quando il deficitario di crine prende e fa un allungo abbastanza repentino lasciandomi sul posto resto basito. Ma solo il tempo di vedere che si ferma dieci metri più avanti, vicino a una tipa con cui si mette a parlare di come va e come sta, e penso malignamente che sta cercando di abbandonare la personale competizione, durata 5 chilometri buoni, dissimulando indifferenza.

Infatti nemmeno 30 secondi e sono davanti a lui e alla sua tipa.
Sorrido, come il Riccardo III scespiriano.

Però ora sono da solo a fare la corsa, avendo perso il mio punto di riferimento. Prima che mi senta come la Dc dopo la scomparsa del Pci e imploda un podista sui 50 arriva da dietro mi si affianca e mi passa. Ha una canotta dell’Atletica Ponte Felcino. Decido di fare la gara sul paesano di Trippa.

Siamo ormai a due chilometri dall’arrivo e non ho fatto altro che aumentare il passo. Adesso i sorpassi sono più veloci e più frequenti, mi sembra che gli altri stiano camminando confronto a me e al felcinate, e a un altro tipo in canottiera blu che s’è affiancato anche lui. Superiamo il Park Hotel a un buon passo quando tre podisti davanti che chiaccherano tra loro correndo in linea mi rendono un po’ macchinoso il sorpasso. Il cinquantenne mi prende una decina di metri, mentre Canottablu è sempre vicino a me.

Di nuovo, ritmo e falcata. Entro nel sottopassaggio sotto la strada a un ritmo di corsa veloce col tipo di Ponte Felcino davanti di 15 metri e Canotta attaccato come una sanguisuga, entriamo nell’ultima curva in pieno allungo. Le mie gambe si aprono per tutta la loro lunghezza, sono un compasso. Sto correndo, quasi uno scatto mentre calpesto la pedana sotto il tappeto rosso della passerella finale.
Soffro.

Tengo duro. E’ finita, èfinitaèfinitaèfinita mi dico, dài ora, dàizziocane.

Recupero altri cinque metri al cinquantenne e corro sempre appaiato al Canotta. Ci siamo- dieci, nove sette, cinque metri- superiamo un altro podista-quattro metri-concéntrati concéntrati-due metri-dài tutto, dài tutto quello che t'è rimasto che ne hai ancora– CAZZO DEVO FERMARE IL CRONOGRAFO!
Il tempo di trovare il tasto Stop e l’altro tipo mi ha passato di un collo.
1h44’33’’.

314° assoluto.

5 obiettivi raggiunti.

Becco Tenerini all’arrivo che era lì col Lambretta Club e che mi prende bonariamente per il culo (" oh se armasto solo 'l telaio, frego", però mi dice che corro bene e mi fa un sacco piacere), vedo la Maria Giulia che ha finito la sua dieci chilometri da un’ora.

Premo il tasto per salvare la registrazione del tempo sul cronografo pensando all’ortopedico, il dottor Bruno, che a febbraio mi disse: “ la frattura non è grossané particolarmente brutta, ma è in un punto articolare piuttosto delicato. Tornerà a posto, ma è molto molto probabile che avrai problemi di zoppìa”.

Sorrido ancora, come Riccardo III.

Anzi no, sorrido sornione.

Come il dottor House.

giovedì 20 settembre 2007

Le Roi



"Egregio Signor Presidente, decine di milioni di cittadini europei vivono la passione per il calcio quotidianamente: in campo, in tribuna, allo stadio e davanti al piccolo schermo. In un momento in cui l'Europa sta cercando di ridefinirsi, di unirsi e ritrovarsi attorno a dei valori comuni condivisi, nulla può contribuire più dell'amore per il nostro sport.


Quanti bambini hanno incominciato a trovare nuove radici nei paesi d'accoglienza su un campo di calcio ancor prima di andare a scuola? Centinaia di migliaia è la risposta a voi tutti nota. I valori difesi dal calcio sono un potente fattore d'integrazione sociale e di educazione civica. La lotta contro la violenza, contro il razzismo e le discriminazioni, la lotta contro il doping a favore del fair play collocano il nostro sport all'avanguardia degli sforzi per creare una coscienza europea radiosa.


Tuttavia, una grave minaccia si staglia all'orizzonte dello sviluppo del calcio europeo: la nefasta onnipresenza del denaro.


Il denaro è sempre stato presente nello sport e il calcio ha abbracciato il professionismo 150 anni fa. Il denaro, tuttavia, non è mai stato il fine ultimo del calcio. Nel nostro mondo l'obiettivo principale è sempre stato vincere trofei. Oggi, per la prima volta, corriamo il rischio di avventurarci in un'era in cui soltanto il profitto finanziario consente di misurare i successi sportivi. Mi rammarico di constatare che questo inquinamento dei valori sportivi non susciti risposte adeguate dalle nostre istituzioni europee, che si rifiutano ostinatamente di riconoscere la specificità dello sport e la necessità di avere norme sportive che garantiscano equità ed equilibrio nelle competizioni. I Trattati Europei non si pronunciano sul tema e quindi ogni norma sportiva tende a essere esaminata attraverso il prisma deformante e approssimativo della normativa europea sulla concorrenza.


L'Europa vuole davvero ridurre lo sport a una semplice e triste transazione commerciale a una sola dimensione? Non è meglio trattare la questione in maniera approfondita a livello europeo tenendo conto degli aspetti particolari ed essenziali che distinguono lo sport in maniera determinante da qualsiasi altro settore di attività commerciale e dei servizi? Mentre l'eccezione culturale oggi accettata e difesa, la specificità dello sport - che si basa su una struttura piramidale di governo democratico e sul dialogo sociale dinamico tra datori di lavoro e dipendenti, dialogo che si sviluppa in Europa sotto l'egida dell'Uefa - non viene protetta. Il nuovo Trattato per la riforma nell'amministrazione delle istituzioni europee prevede l'allargamento delle competenze della Commissione Europea sulle questioni sportive, pur riconoscendo in minima parte la specificità dello sport.


L'articolo del Trattato sfortunatamente non fa abbastanza per proteggere il calcio dagli interessi commerciali sfrenati che lo assalgono da ogni dove. Milioni di innamorati del calcio di cui mi faccio portavoce lanciano un appello all'Europa affinché faccia di più per difendere il nostro calcio e il modello sportivo europeo basato sulla solidarietà sociale e finanziaria tra ricchi e poveri, unica garanzia dei valori a noi cari.


Il Parlamento Ue s'è già espresso nel Rapporto Belet nel marzo del 2007. In questo rapporto si fa accenno alla dichiarazione del Consiglio Europeo di Nizza del 2000. Tale dichiarazione emanava dagli organi più rappresentativi della volontà democratica europea ed è rimasta lettera morta. Non è stata neanche ripresa nel poco convincente Libro Bianco prodotto dalla Commissione a luglio. Soltanto voi, i Capi di Stato e di Governo, avete il potere di rafforzare il ruolo della specificità dello sport nella riforma del Trattato. Il suo impegno personale presso i suoi responsabili dello sport e delle questioni europee può garantire la presenza di un articolo che consacri la specificità e l'autonomia dei regolamenti sportivi nella nuova Riforma di Trattato.


Mi rivolgo a tutti i Capi di Stato e di Governo perché rappresentate l'ultima speranza per un futuro sano ed equilibrato del calcio europeo. Sono conscio del fatto che siete sensibili al problema e capite quanto questo tema sia importante per decine di milioni di concittadini europei. Riprendete la torcia della speranza e ridate ai valori sportivi la giusta priorità. Lasciate prevalere la gloriosa imprevedibilità dello sport sulla tetra certezza del denaro. Il calcio unisce e trascende l'Europa, l'Europa deve aiutare il calcio.

Signor Presidente, in attesa di un suo gentile riscontro, le invio i miei distinti saluti.


Michel Platini, presidente Uefa


(19 settembre 2007)"

(Commovente, per quanto ingenua... Questo Blog sostiene Le Roi convintamente.
Anche quando va a parlare di corda in casa dell'impiccato...)

Grillo e Grilletto



Se avesse un briciolo d'onestà, e soprattutto raggiungesse anche a stento la normale soglia di decenza intellettiva, uno così dovrebbe evitare d'aprire la bocca il più possibile.
Per evitare di farsi scoprire per quello che è.
Uno che è direttore di un TG pubblico grazie alla militanza nel proprio partito e in virtù di un'esperienza professionale maturata nell'organo di stampa dello stesso (a proposito, mi rivolgo alla disgustosa Anna La Rosa ora: basta ogni volta che c'è qualcuno di An far vedere la foto della formazione di calcio del Secolo d'Italia degli anni 70: a parte la bollitura di un'immagine sfruttatissima, vedere Storace magro fa quasi più senso che pensarlo per com'è lordo oggi).

Invece non si smentiscono mai: manganellatori sempre, quando reali quando mediatici.

Nomen omen.

(nella foto, il direttore del TG2)

martedì 18 settembre 2007

Dov'è la Giustizia?



Questo tipo qui, per aver buttato un petardo sugli steward dell'Olimpico di Torino, domenica durante Juve-Udinese e beccato in flagrante e processato per direttissima è stato condannato a non vedere più la juve per tre anni.

Datemi un petardo...

(nella foto, il ragazzo arrestato. Dice che con lui c'era la morosa. Io sulla base dell'abbigliamento del tizio arresterei anche la sua ganza, per manifesta incapacità di intendere e volere)

giovedì 6 settembre 2007

Due codici




"Per anni si è fatto intendere che le regole vanno bene sino a quando le si proclamano, poi diventa subito bravo chi sa aggirarle meglio... è l’Italia dei condoni, delle leggi ad personam per sottrarsi ai processi, del così fan tutti.

Dopo, quelli che sono i più tolleranti con se stessi, invocano la tolleranza zero per gli altri… i più deboli, i diversi, ma anche i cittadini comuni.

Il nostro sistema di legalità ha due codici: quieto per i galantuomini a prescindere, per censo; subito dopo quello che vale per tutti gli altri…

Si fa a gara nell’appiattirsi sulle posizioni con venature populistiche, ad accantonare la difesa dei diritti sociali nel nome supremo della sicurezza, ad assecondare le paure e le insicurezze della gente e le sue percezioni esasperate…

Ragioniamo sui lavavetri o sui posteggiatori abusivi e persino sui graffitari. È gente che, se non compie atti violenti, non commette alcun reato. Pensare alle manette per cancellarli dalla città è un assurdo giuridico e un’illusione."

Sono parole di Giancarlo Caselli, Magistrato... e raramente mi sono trovato così in sintonia con lui.

(nella foto, Caselli)

venerdì 31 agosto 2007

Omaggio



Le sinistre frontières di quel reporter
Franco Carlini

«Se avessero preso in ostaggio mia figlia, non ci sarebbe limite alcuno, ve lo dico e ve lo ripeto, all'uso della tortura». Per salvarla ovviamente. D'altra parte, aggiunge, è quello che fece la polizia del Pakistan, in occasione del rapimento del giornalista Daniel Pearl del Wall Street Journal. Per cercare di liberarlo in tempo, arrestarono e torturarono i familiari dei rapitori , anche se a nulla servì e il giornalista venne non solo ucciso ma letteralmente fatto a pezzi. A sostenere la possibilità della tortura, persino di innocenti familiari non coinvolti, è stato di recente Robert Ménard, fondatore e segretario generale di Reporters San Frontières, la ong internazionale che si batte per la libertà di stampa e di espressione, contro i regimi censori e autoritari. Quelle cose Ménard le ha dette nel canale radiofonico France Culture il 16 agosto scorso, all'interno di un dibattito sulla gestione trasparente dei rapimenti, insieme ad altri giornalisti. Il registrato è stato riproposto ieri dal giornale online Rue89.com, sempre attento e combattivo. Nell'occasione Ménard sosteneva che a quel punto non è più una questione di idee o di principi, ma di guerra. Dice di averne parlato con la moglie di Pearl (in occasione del lancio del film «A Mighty Heart» di Whinterbottom, su di lei e suo marito) e che «bisognava assolutamente salvarlo e se era necessario prendere un certo numero di persone, prenderle fisicamente, avete capito, minacciandoli e torturandoli». Ménard ha espresso la sua opinione in maniera problematica, ma senza dubbio una frontiera l'ha voluta passare, che non è quella della libertà, ma quella della disumanità. E non basta a giustificarlo l'orrore del terrorismo sanguinario, né il nobile scopo di salvare delle vite. A prezzo di quali vite e di quali altre disumanità? Più sensati di lui, gli americani contro la tortura sono invece riusciti a far dimettere il ministro della giustizia Alberto Gonzales, mentitore e reticente su Guantanamo e Abu Ghraib.

(da Il Manifesto, 28/08/2007, solo due giorni prima che il suo autore ci lasciasse)

martedì 28 agosto 2007

Il cane di Pavlov



“La ricchezza non è il nostro primo avversario. Il nostro primo avversario è la povertà"



Il comune di Firenze dichiara guerra ai lavavetri: per effetto di un'ordinanza urgente, da oggi chiunque venga colto sul fatto ai semafori del capoluogo toscano finisce davanti al giudice e rischia, oltre al sequestro degli attrezzi (?), una pena che può arrivare fino a tre mesi d'arresto o una multa da 206 euro.

O tempora, o mores

Perché 'l Perugia - Parte Seconda



PERCHé CONTINUO A GICCE
- perché a la presentazione ta la Sala di Notari era arivato ‘l novo presidente, un’ che diceva Perugia con du o tre “g” e la prima cosa ch’ha ditto è stata ch’era venuto a perugggia “per fare impresa”
- e uno vicino a me diceva che ‘ste cose je facevon pensà ta qualcuno ch’era a palle al’aria a Santo Domingo
- perché dopo, continuando il discorso, aggiunse che voleva fa’ artorna’ ta tre o quattr’anni ‘l grifo ta le categorie che je competono ma che comunque lu’ de calcio nn’ne capiva niente
- e sempre quil vicino disse che sì de calcio nn’ce capiva come faceva a di’ qual’erono le categorie che ce competono
- perché pensamme de avelle viste tutte ma ‘nvece ce sbajamme
- ché prima del campionato evon fatto ‘l reality al Curi “chi vuol essere un grifone”
- e s’eron presentati tutti: quillo che giocava a Campioni, quilli che al massimo evon giocato col Villabiagio e anche l’cugino de Seedorf, che faceva ‘l cuoco
- perché la prima giornata a Castellamare de Stabia per quant’erme contati nn’ ce manca niente che facem gioca’ Luchini
- perché comunque emme misso su ‘na bona squadretta ma ce mancava ‘na punta forte
- perché emme preso bomber Mirtaj
- perché “nn’ semo saliti ma l’vedrè ‘l prossim’anno che squadra che buttam su, adè che c’emo tutto ‘l tempo a disposizione”
- perché arivarono tutti freghetti dalle belle speranze
- Sussi, Albino, Mamede, Baldini
- perché ta la gente, quilla poca che giva ancora alla stadio, je ‘ncominciavon a gira’ le palle
- che dicevono che “no no, nn’è quista la strada per gì ‘n paradiso”
- e l’ diceva anche Castagner e ‘l Rava che nn’era quilla la strada, ‘nfatti nn’ la fecero più pel Curi e salutarono tutti
- perché a Terni evon giocato come i cani, anzi nn’evono giocato proprio
- e per fortuna ch’era a porte chiuse sinnò ‘ncora eron dentro la Conca
- che ’l por grifo si potria li avria n’culati tutti

PERCHé CE GIRò
- perché c’ho da gì anche per quelli che nn’ ce vengon più
- e anche per quelli che dicevono che ce artornavono quando nn’c’era più Gaucci
- quelli che “meglio ‘na vita ‘n C che Gaucci presidente”
- e mo’ è ‘na vita che semo ‘n C, ma voi dua cazzo sete?
- perché so curioso de vede’ come va a fini’ ‘sta storia delo stadio
- che ce vojon fa’ i negozi, le palestre, i centri de bellezza, i ristoranti
- che si ce pensi è giusto, io leveria anche ‘l campo tanto per vede’ ‘sti spettacoli
- oppure metteria du porte dentro l’ipercoop a Collestrada, almeno risparagniamo i soldi pi negozi che già c’enno
- perché pe la gente che ce viene ‘nvece io artorneria a gioca’ al Santa Giuliana
- perché per nicce tra rotonde e t-red me ce vojon ‘n paio d’ore
- perché vojo vede’ quando artoramo su, de argi’ co’ le bandiere ‘n piazza IV Novembre
- e magari gicce col minimetrò sì nn’fa troppo casino
- perché prima o poi c’argiremo a gioca’ co’ la juve, co’ ‘l inter, co’ ‘l milan
- e a quil punto rinfaccia’ ta tutti a chiedeje “ma voi du’eravate quando c’era mister Cari? quando tal mucchio Mocarelli sembrava ‘n fenomeno? quando alo stadio se poteva gioca’ a briscola e tressette? quando giocamme co’ le squadrette che per sape’ du erono toccava pija’ ‘l navigatore satellitare? quando era più deprimente vede’ na partita che ascolta’ ‘na canzone de Masini?”
- perché, sopratutto, so’ ‘n malato pel grifo e per fortuna nn’ so’ ‘l solo.

mercoledì 22 agosto 2007

Perché 'l Perugia

Dal Fanesi, genio cialtrone, ricevo e pubblico un pezzo come al solito bellissimo



PERCHÉ DA CININO GIVO ALLO STADIO
- perché si stavo a casa evo da gì al centro,verso le 4, davanti a Bata e fa tremila vasche e nn’ c’evo vojia
- perché dopo quando finiva la partita givo al gettonbox, che allo studio 54 c’erono i grezzi
- perché era l’unica volta che quando m’avvicinavo al Capitini ero contento
- perché almeno vedevo n’po’ de fica. A pagamento, ma la vedevo.
- perché potevo gicce ‘n due senza casco che tanto nn’ me fermavono
- perché si stavo al bar e la sentivo per radio con Santilli nn’ce capivo ‘n cazzo
- che ‘ncora ho da capi’ che cazz’era quil robouosch
- perché quando entravo vedevo si c’era Aldino, quil che faceva le bombe
- che poi na volta n’ha tirata una che è gita a fini’ ta uno dei Rams e per poco nn’ la pijon con me e ‘n amico mio
- perché givo a preparà le coreografie, come quilla del sipario co’ i cugini... e io nn’ so’ cugino con nissuno, come disse uno de l’Armata
- che pu ‘l sipario s’era ‘mpijiato tanto bene davanti a quillo che portava merda
- che era uno che tal 2-0 de Perugia- Palermo disse “calmi che ‘ncora nn’è finita” e ‘nfatti alla fine emme pareggiato 2-2
- perché quando entravo vedevo lo stadio pieno con 2 curve che tifavano pel grifo
- che ‘na volta ‘n omino de la gradinata era stato tutta la partita a dije ta quilli della sud che c’eva colpa chi leva fatti ni su, che ce voleva n’muro da Marsciano a gì giù, ma n’vece erono i Pila Matta
- perché vedevo ‘l majale co’ la sciarpa de la ternana che correva verso la sud e un de Sant’Enea vicino a me disse che l’voleva pe’ la corsa de la scrofa
- perché la marcia de l’Aida era l’unica cosa che me piaceva della lezione de musica
- perché “tanto l’Andria nn’c’ha i soldi per gi su”
- e ‘nvece ce l’evono
- perché Di Carlo ‘na volta che era squalificato fece fori ‘n pacchetto de Merit ta la balaustra vicino ‘l Mimmo
- perché dopo che l’emme vista emme n’cumiciato a cantà che la moglie de Di Carlo è ‘na gran fica
- e quilla de Gaucci ‘na babbiona
- perché a Foggia ‘na bottiglia d’acqua costava 5mila lire
- perché “Sì, ma che te frega, pensa che semo ‘n B!”
- perché quil pomeriggio stemme tutti ascolta’ ‘l processo ‘n diretta per radio
- che “dai ch’j la facemo, al massimo ce levon qualche punto” e ‘nvece la sera emo n’cendiato la superstrada
- che pu n’cendiato... emme fatto ‘n favor ta l’Anas
- perché ta ‘n Perugia-Fiorentina de Copp’Italia ‘n celerino giva dietro ta ‘n amico mio e je diceva: “fermete!”, e lù: “fermete tu che ta te n’te curre dietro nissuno!”
- perché emme comprato Dossena, che giocava ‘n champions e era diventato anche lo sponsor de la Saggia
- che pu, va bhe, dopo a fine stagione ta la su’ pubblicità sotto Saggia qualcuno c’eva scritto: “la fava”
- perché vedevo ‘l Gauccione che co la polo de la lacoste saltava e piagneva sotto la nord
- che va bhe, per quant’era grosso ‘l coccodrillino de la lacoste sembrava ‘na rana
- ma lu’ sempre che saltava e piagneva, anche quilla volta che l’evon chiuso dentro lo sgabuzzino sotto ala nord
- ma quila volta piagneva e basta

PERCHÈ CE GIVO QUAND’ER PIÙ GRANDE
- perché sinnò nn’ potevo vede’ Negri che ta i difensori del Verona ji diceva de scansasse
- e quan’ s’erono scansati tutto lo stadio a canta’ “serie A!”
- e anche più de lo stadio, che c’era la gente che era arivata fin la città della domenica
- perché ho visto a piagne ta tutti, abbracciasse, saltà e me sò misso a piagne anche io, che la serie A l’evo vista solo ta l’album de le figurine
- e che m’ero rott’ì cojoni de sentì i più grandi a di’: “eh ma tu che ne se’ de la serie A, quan’ vincemme co la juve”
- “quando morì ‘l por Curi, quando Bagni fece ‘l cojone, quando Ceccarini segnò co’ l’Inter, quando spaccaron la gamba ta Vannini e anche quando vendemme la partite”
- ma quilla ‘nvece era de tutte l’unica cosa che evo già visto: a vende le partite, che culo
- perché alla presentazione del 96-97 ‘nvece che Piazza IV Novembre sembrava Rio de Janeiro
- e lu’, ‘l Gauccione, a di’ che erme inferiori a 4 o 5 e tutti a di’ “è vero, si ce pensi bene è vero”
- e ‘n fondo c’eva ragione, erme ‘nferiori a 4 o 5 e qualcosa ‘n più, ‘nfatti sem giti giù
- perché a Perugia nn’ se parlava d’altro, c’era solo ‘l grifo, ta i bar, ta le piazze, podarsi anche ta le chiese ma nnel so che nn’ce givo
- perchè c’era ‘l Gale, che giva d’accordo con Gaucci come ‘l gatto col cane
- ‘nfatti è stato l’unico allenatore a esse’ esonerato per colpa del cane
- perché ho visto Kocic Beghetto Camplone Di Cara Castellini Giunti Kreek Pagano Rapajc Allegri Negri
- e anche Muller, ma va bhe lu’ se vedeva solo pe’ le scarpe gialle
- perché ho visto ariva’ Nevio Scala, che diceva de vole’ smette e s’era dato ta l’agricoltura
- e ‘nfatti eva spostato Gautieri a terzino, Negri nn’ segnava più e Rapajc era artornato 15 kg ‘n più. Era meglio si era armasto a fa’ ‘l contadino
- perché a Piacenza ce bastavon du’ risultati su tre
- perché ‘l Milan fece gioca’ la primavera co’ la reggiana
- perché a Piacenza em preso ‘na giubbata d’acqua che ‘ncora me l’arcordo e vedevo Giunti alisciasse i capeje
- perché tra i biancorsossi c’è un giocatore che gioca come Pelè Milan Rapajc eh oh

PERCHÈ CE CONTINUAVO A GI’ QUAND’ER CRESCIUTO
-perché “meglio spende per Ridle che risparmia’ per piagne”
- perché emme preso Perotti che faceva sta’ fori Rapajc che nn’era adatto pi’ su schemi
- perché giravono più allenatori quil’anno che birre alla zozza
- perché Thorninger era più giallo de la maglia gialla fosforescente che c’emme
- perché “Materazzi nn’è ‘n giocatore, te ‘l dich’io che nn’è ‘n giocatore”
- e l’diceva anche Lentini, che per quant’era magagnato manco Cerulli sapeva dua mette’ le mani
- perché a San Sisto quilli del Torino evon fatto i buli con freghetto
- ma dopo a la Trinità j’era passata la voja
- perché a Reggio Emilia me so’ girato quand’ha tirato ‘l rigore Colonnello
- ma ho visto quando l’ha tirato Tovalieri
- e “più che ‘n toro sembra ‘na vacca”
- perché “i giapponesi quando c’han mai giocato a pallone”
- perché “sta a vede’ che ‘l Gabibbo con quisto c’ha ‘ndovinato”
- perché a Norcia c’era bomber Bellacanzone
- perché Boskov nn’eva capito si noi erme i rossi o quilaltri
- perché Mazzantini ‘n porta, da ‘na parte Rapajc, da quilaltra Petrachi e ‘n mezzo Nakata che si ce penso ade’ me viene da piagne
- perché a Udine l’emme acomodata
- e anche col Milan, l’evon capito tutti, men che Matrecano che per fajol capi’ meglio ‘l Gauccione l’eva cavato alla fine del primo tempo
- e men che Bucchi, ma pù jel fece capì Costacurta: j diede ‘na cazziata che manco ta me ai tempi de la scuola
- perché “con Mazzone gimo minimo ‘n coppa Uefa”
- perché quil’anno lo sponsor ‘nvece che la Perugina poteva esse quillo de ‘n sonnifero
- perché ‘n casa n’ne vincemme una
- perché per vincene una eva da ni’ giù ‘l diavolo
- e l’ultima giornata era nuto giù
- e n’so stato mai contento de pija’ l’acqua come quilla volta
- perché ho sentito bestemmia’ tanta gente che tu quan’ ce parli te dice che tra Perugia e Juve quando giocono contro en’ pel Perugia
- perchè “Calori sindaco”

PERCHÈ CE GIVO QUAND’ER DIVENTATO GRANDE
- perché “ma chi cazz’è sto Cosmi?”
- perché “da’ retta ta me che ce capisco, co’ ‘sta squadra fè 5 punti, nn’vè du elle”
- perché “ho parlato co’ uno che è al dentro, certe cose le conosce, tanto mò ce pija la cordata de imprenditori perugini”
- no anzi, meglio, quilla ‘nvece che ‘na cordata era ‘n cordino, saremo l’ottava sorella, ariva Benetton
- perché “Baiocco, Liverani, Pieri e compagnia bella nn’en gente da serie A”
- perché nn’ce giva più nissuno, come dicevon tutti meglio ‘n serie C che con Gaucci
- de quisto ne parlamo dopo
- perché quando vedevo ‘l Serse ‘n panchina me pijava voja de salta’ la balaustra
- lu’ la partita nn’è che te la faceva senti’, scappavi dallo stadio che eri più sudato che si evi giocato
- de sicuro più sudato de Ma Ming Yu che lu’ ‘l campo nn’l’ha visto mai
- che come disse uno: “da retta, fidete che sto cinese nn’è male”
- perché l’Università di Stranieri s’era spostata al Curi, ce n’erono più allo stadio che la sera ‘n Piazza IV Novembre
- perché erme j’unici che giocamme ‘n casa ma che sembrava d’esse n’trasferta
- che ‘l Gauccione eva dato tutti i biglietti ta la Roma e ta quilli de la gradinata l’eva fatti sposta’ ‘n tribuna
- pija ‘n colpo ta lu’ e tutta Roma
- perché “che cazzo te frega si ce fa i soldi, basta che te mantiene ‘n serie A”
- perché “meglio si c’ha la Sambenedettese, l’Ancona, la Viterbese, ‘l Catania: en tutte nostre società satellite”
- perché la vigillia de natale c’ho avuto ‘n regalo che la mi’ frega se poteva ‘mpegna’ ‘na vita e tanto nn’el faceva uguale
- 1-2 a San Siro col Milan: Saudati-Vryzas
- perché col Foligno, la Ternana, l’Arezzo e compagnia bella al più ce se giocava ‘l mercoledi ‘n allenamento
- perché “il barcarolo va controccorrente Serse Cosmi alé Serse Cosmi alé... portace in Europa”
- e c’ha portato
- perché la domenica d’estate, quille che nn’c’è ‘n cazzo da fa e magari vè a rompete le palle al mare a Fano erono n’ricordo
- perché givi alo stadio, che facevi l’Intertoto e ‘nvece che fa’ la fila ta la Contessa eri ‘n Curva Nord a tifa’
- a vede’ ta Miccoli, ta Tedesco, ta Blasi, ta Vryzas, ta Kalac, ta Grosso
- o a senti’ ‘l Taccucci che ‘n diretta te faceva pensa’ de sta’ a fa’ la finale de coppa del mondo
- e quando emo alzato quilla coppa a Wolfsburg tutti a dì che sì, de strada n’emme fatta per arriva’ lassù
- e l’ dicemme anche noi tal pulman che de strada n’emme fatta: 23 ore per gì su e ‘na trentina p’arnì,che l’autista s’era perso
- perché bhe, dopo che emo vinto ‘sta coppa, dopo che semo ‘n Uefa, come minimo tocca lotta’ pe’ la champions
- e l’diceva anche ‘l Luciano, ch’eva preso bomber Semereh, ‘l freghetto de Hubner e ‘n’altra decina de’ stranieri
- ma l’diceva ‘n po’ meno ‘l Serse, che voleva gente de peso e ‘nfatti arivò Gheddafi
- che quando se vedeva per Perugia sembrava ‘n ufo, con quila machina gialla e co’ ‘na trentina de guardie del corpo
- ch’eva preso tutto ‘l Brufani
- perché quel anno nn’ te davono ‘n rigore manco si te sparavono
- perché quel anno nn’ vincevi ‘na partita manco si la compravi
- perché ‘nvece che lo stadio era ‘no show, le Iene, ‘l processo del lunedì, la giocatrice tedesca
- e tu quì ce se diverte più ala partita che ai baracconi
- perché le ultime 3 giornate en’ fatto 9 punti, col gol del Rava ta la Juve e oramai è fatta
- perchè “si anche tocca spettà ‘na ventina de giorni che finisce la B semo sempre più forti, nn’c’è partita”
- e ‘nfatti nn’c’è stata partita, ‘na pera ‘n casa e mezzo tiro a Firenze e tutti a casa col bregno
- che pu a pensacce bene prima i cavalli e pu ‘sto cazzo de Fantini: nn’c’ha culo ‘l Gauccione cò la categoria
- ma ‘n compenso c’ha avuto 5 milione d’euri ta la sacoccia che j’ha dato la Lega
- perché “semo ‘n B ma che te frega, almeno arfacemo ‘l derby”
- perché alo stadio nn’ce giva più quasi nissuno
- perché “meglio ‘n C che con Gaucci”
- e de quisto ne parlamo tra ’n po’
- perché fischiavono più ta Mascara che ta Gaucci
- e ce credo, ’l Gabibbo era più latitante de Bin Laden
- perché ‘ncora ho da capi’ perché ta Floro Flores Colantuono nn’el faceva gioca’ anche al’andata
- perché De Pedro era più grosso de Ma Ming Yu
- perché tai derby jemo dato ‘na sdrenata che se l’arcordono a vita
- perché erme come a casa nostra
- perché ha’ voglia a dì Colantuono che era ‘na partita normale, vailo a dì ta quilli de la Conca ch’evon fatto la coreografia co la pressa
- perché sotto la Est ‘l Rava a forza de acarezza’ ‘l tatuaggio del grifo j’eva fatto arfa’ ‘l pipino
- perché em’ perso lo spareggio col Toro ma em’ giocato come i leoni
- perché “tanto gimo ‘n A uguale che ‘l Genoa ha comprato la partita col Venezia”
- perché noi ‘nvece n’emme comprato ta nissuno, ma manco pagato
- né tal comune, né tai giocatori, né ta la Lega
- e via tutti a fa’ la marcia, da la stazione a lo stadio a di’ che no, meglio a fallì, meglio ‘n C che con Gaucci
- e ‘l sindaco ta la balaustra che je mancava solo ‘l tamburo a di’ che ‘l calcio n’ne sparirà e che anzi ariverà ‘n presidente serio

... Continua...

venerdì 3 agosto 2007

MA DICI A ME?



PICCOLA TRADUZIONE ALLA LETTERA DI ROMANO PRODI AI COMPAGNI DELLA SINISTRA RADICALE


Care amiche e amici,

Questa lettera aperta è rivolta in modo particolare a quanti, sostenendo l’Unione, hanno espresso la loro preferenza per i partiti della sinistra. Al tempo stesso è una riflessione comune che credo doverosa e che forse era giusto fare anche prima.

TRAD: Voi comunisti m'avete chiaramente rotto il cazzo, ma più che altro mi rompono il cazzo i riformisti del "mio" futuro partito (sempre se non avrò un futuro nella coltivazione dei tuberi, visto che come mi giro c'è un d'alema un rutelli o un marini pronto a sodomizzarmi... e ultimamente ci si è messo di punta anche Dabliù Veltroni a cacarmi in testa...) che mi mettono in mezzo come i bambini la maestra per risolvere i bisticci alle elementari...
Insomma, sono incazzato con voi, ma soprattuto sono stanco di fare la figura del cazzo tra i due coglioni...




Leggo spesso sulle pagine dei quotidiani di riferimento di questo elettorato parole pesanti e preoccupate. Non vengono da un’opposizione preconcetta, ma vengono da chi, con lealtà, sostiene il governo di centrosinistra, lo stesso governo che gli elettori-lettori di questi giornali hanno contribuito ad eleggere nell’aprile dell’anno scorso. Sono quindi parole da considerare con attenzione. E rispettare.
TRAD: Purtroppo chi mi caca il cazzo alla luce del sole (sempre voi, comunisti) mi è indispensabile per mandare avanti la baracca.




La critica costruttiva è l’anima di una politica vera.
TRAD: Mi piacerebbe che taceste




Sia negli editoriali che negli articoli o nei commenti ospitati su quelle colonne si legge spesso la parola “mobilitazione”. In queste ultime settimane, poi, sembra quasi che il mantra della reazione sia una sorta di “liberazione” o “manifesto” (scusate il gioco di parole), con cui la cosiddetta sinistra cosiddetta radicale si prepari ad affrontare la ripresa del dibattito politico e dell’attività di governo.
TRAD: Mi state dicendo chiaramente che m'aspettate a settembre per farmi un culo come un passino.
Ma non c'avete i coglioni di dire come (che la baracca fa comodo anche a voi che non crolli), così mi posso anche permettere di percularvi facendo i giochetti di parole, bona lè.




Chiariamo subito un primo concetto.
TRAD: Fottetevi




Io non credo affatto all’idea di una sinistra “radicale”.
TRAD: Voi, almeno mediaticamente, non esistete.
Se non nella misura in cui fate degli atti talmente clamorosi che è gioco facile farvi passare per dei coglioni.




Ve lo dico come leader dell’Unione e come presidente del futuro Partito Democratico, un partito che non deve essere visto come un avversario ma al contrario come un motivo in più per una coabitazione rispettosa e serena.
TRAD: Noi invece siamo grossi e abbiamo gli agganci giusti. Sennò che cazzo mettevo a fare quel fighetta di Riotta a RaiUno?
Non vi convene mettervi contro di me, pagliacci!




Ho troppa stima per le donne e gli uomini che compongono la grande area della sinistra (e che stanno giustamente lavorando affinché ci sia in questa area una forma di riunificazione moderna ed europea) per considerare come “radicale” qualcosa che invece è a mio avviso estremamente “popolare”.
TRAD: Tra l'altro chi vi vota è senza dubbio un coglionotto




L’idea stessa di considerarsi i difensori della società meno fortunata è un compito nobile. Specie quando si è chiamati a farlo ricoprendo incarichi di responsabilità.
TRAD: Ribadisco il concetto: siete degli ingenuoni




La sinistra, dopo i cinque anni di devastazione sociale ed etica alimentati dal governo delle destre, ha testardamente voluto il governo di questo Paese. Ha lavorato per questo obiettivo insieme alle altre forze dell’Unione, costruendo un Programma e un’idea diversa di Italia. Ha fatto tutto questo ben sapendo che al primo posto delle emergenze c’era il risanamento dei conti pubblici. Non senza fatica ha condiviso un Dpef e una Finanziaria che hanno prodotto risultati mirabili a fronte di una nuova richiesta di sacrifici per i cittadini. Sacrifici che, anche grazie a tutti i ministri del Governo e ai gruppi parlamentari che ne rappresentano l’elettorato in Senato e alla Camera, sono stati equi e giusti, diminuendo privilegi ed ingiustizie.
TRAD: Vi riconosco che avete mangiato parecchia merda pur di non tenere Silvio e i fascioleghisti al governo. D'altronde l'ho già detto che chi mi caca il cazzo con voi sono i centristi della mia parte, no?
Per quel che mi riguarda sono un democristiano: svegliarmi la mattina e guardare allo specchio il "PRESIDENTE DEL CONSIGLIO" mi eccita sessualmente e mi appaga totalmente.




Il percorso delle riforme ci ha portati nelle scorse settimane a definire con i sindacati il Protocollo sulle pensioni e sul welfare. Non è stato un atto isolato o autoritario, ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata. Il governo precedente aveva imposto, noi abbiamo scelto di condividere. E’ stato così sulle grandi opere, sui temi ambientali, sulle riforme economiche. Non poteva che essere così anche sul welfare.
TRAD: Sono mesi che dentro i sindacati le componenti che si riferiscono a noi stanno facendo lavoro di pressing.
Silvio ha fatto vedere i muscoli, noi cooptiamo. Per far passare riforme che vanno più o meno nella stessa direzione. D'altronde davvero credete che sia il governo a stabilire le linee di sviluppo della nazione?
Siamo poco più che un comitato d'affari, quando va male come col berlusca, e poco meno che un Officina Grandi Riparazioni quando va bene, cioè quando IO sono Presidente del Consiglio.





Non mi stupisco quando si dice che si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l’equità sia massima e che si cancellino i favoritismi.
TRAD: Non mi stupisce no, mica sono scemo.
Non abbiamo fatto un cazzo se non calmare gli animi di quei coglioni che ci hanno votato. Anche la Confindustria era d'accordo, quei voltagabbana.
Diciamo pure che a noi del popolo ce ne frega meno che di Coco al Saint Etienne




Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito.
TRAD: Non rompete il cazzo, che forse a settembre qualcosa scagliate. FAtevi una doccia fredda, andate al mare, che ne so... a puttane... ah no scusate quelli sono gli udc...




Lasciatemi sintetizzare in poche parole orgogliose quanto è stato siglato il 23 luglio, una data importante. Innanzitutto è stato evitato che, il 31 dicembre, entrasse in vigore una delle leggi più arroganti di sempre, uno “scalone” di disuguaglianze e finte responsabilità. Basterebbe questo, come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare, per considerare un successo quell’accordo. Ma non basta: abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e dei meno giovani attraverso un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni, garantendo assegni più alti e tutele più forti. Abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti, abbiamo limitato le pensioni d’oro, abbiamo, in buona sostanza, fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva il 9 e il 10 aprile del 2006 mettendo la propria croce sul simbolo dell’Unione.
TRAD: Sostanzialmente non abbiamo rimosso l'impianto della legge Maroni, abbiamo cambiato soltanto delle cose superficiali e sulle quali la destra ha sbagliato a fare una barricata di principio. Tipo lo scalone. Che poi loro se gli vai a toccare gli abusi edilizi si sa, si risentono...
Questi sono gli scherzi che fa l'arroganza.
Io invece sono bonario.
Ma non fatemi girar le palle, merdesecche.




Ma non è tutto. Ferme restando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici, l’extragettito frutto delle politiche serie di lotta all’evasione e che proprio in queste ore è stato approvato in Parlamento ci ha permesso di alzare le pensioni minime a milioni di cittadini, far riscattare la laurea senza esborsi folli ai giovani, aumentare la lotta al precariato che già è stato limitato dalle politiche sul cuneo fiscale. Certo, si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come “popolari”.
TRAD: Certo, il fatto che stiamo alzando le pensioni con un gesto di carità cristiana non vi deve illudere, visto che stiamo continuando in una riforma del welfare che renderà le pensioni future (per quei fortunati che c'andranno) al livello miserrimo di quelle che adesso stiamo alzando. Tutte. Mica solo quelle sociali o assistenziali.
Questa è uguaglianza, è l'uguaglianza non è una base del socialismo che tanto vi piace gridare ai vostri cortei?




Abbiamo ancora molto da fare e non solo su temi fiscali ed economici.
TRAD: Non possiamo tornarcene a casa e lasciare le poltrone sulle quali poggiamo agiatamente le terga.




Ci sono da portare a termine le riforme istituzionali imposte dalla destra, da risolvere il conflitto di interessi, da garantire il pluralismo dell’informazione e della formazione.
TRAD: L'ho detto appena: non possiamo tornare a casa, sennò torna Berlusconi.
Bù!




C’è, forte, la necessità di lavorare per le sicurezze, a partire da quelle per i lavoratori. Le Camere hanno approvato una legge che abbiamo fortemente voluto ma non basta. Non è tollerabile piangere ogni giorno vite spezzate dalla mancanza di regole e di tutele. Siamo di fronte a un’emergenza nazionale che va combattuta con provvedimenti forti e controlli severi, come abbiamo iniziato a fare: in questi mesi sono stati assunti 1411 ispettori, sospese 1760 aziende prive dei requisiti di legge in materia e altre 711 regolarizzate. E non dimentichiamo che ben 143mila lavoratori sconosciuti all’Inail, metà dei quali stranieri, sono adesso garantiti.


TRAD: Cioè insomma, suvvia, ragioniamo: non siamo cattivi...
Dai Fausto, gli operai... ripeti con me "operai, operaaaaaai"... dai Oliviero anche te "Operaaaaaaaai"...
Rizzo lascia stare Contessa e posa quel cannone, cristo!




Anche sull’ambiente abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. E che dobbiamo intensificare assolutamente dopo la pausa di agosto. prefissati. Proprio in queste ore il ministro Pecoraro Scanio ha ricordato gli impegni programmatici su Kyoto, la Legge obiettivo, la lotta all’inquinamento, le biodiversità. Tutto il governo, tutta la maggioranza devono essere “verdi”, perché è in gioco il futuro delle nuove generazioni e lo stesso sviluppo del Paese. Abbiamo investito in un piano sull’energia di grande profilo, ci siamo attivati nelle tutele e nella ricerca. Ma sappiamo di poter dare e fare di più, perché anche in questo siamo più responsabili e motivati di chi ci ha preceduto.
TRAD: Anche tu Pecoraro Scanio, non ti venisse in mente di scassare la fava, che non è giornata.
E pulisci la bocca a Cento, che s'è sbavato di nuovo...





Per tutte queste ragioni vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come sui luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l’orgoglio “popolare”, gli stimoli e naturalmente anche le critiche.
TRAD: Insomma, finché manifestate a me non me ne frega un cazzo. Gridate pure quel che volete.
Sono democratico io. Cristiano.





Ma ricordando che questo Governo merita fiducia perché in soli 14 mesi ha rimesso a posto il debito, vede ripartire l’economia e tutelare i consumatori grazie alle liberalizzazioni, non teme i giudizi europei e internazionali, combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte. E, appunto, sta ricostruendo un sistema di welfare che non deve essere giudicato tutti i giorni da “riformisti” o “radicali” come un qualcosa da cambiare comunque.
TRAD: Ma ricordatevi che avete anche voi da prenderla in culo se cadiamo. E v'assicuro che non è piacevole.
C'ho esperienza io, stronzi.




Se potremo migliorare ancor di più le nostre azioni sociali lo faremo, statene certi. E ascolteremo con attenzione tanto i cittadini quanto il Parlamento.
TRAD: Insomma ce semo capiti. Se ce sarà qualche briciola rimasta magari la si dà pure, che siamo buoni. Ce se vede in giro...




Ma non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi anni bui.
TRAD: Torna Berlusconi. Bù!



Romano Prodi



(nella foto, il Presidente del Consiglio mentre ammonisce la sinistra dell'Unione)

giovedì 2 agosto 2007

Scarto



Lo scarto tra come ci vediamo e ci sentiamo noi e come ci vede il mondo esterno è piuttosto deformato.
Ok, non mi addentrerò in discussioni filosofiche. Voglio evitare un'elefantiasi dello scroto ai pochi gentili che leggono questo cestino della spazzatura.

Capita che ultimamente sempre più gente mi chieda e si chieda, direttamente o meno, se sto male.
La perdita di peso, il cranio rasato son sicuro non mi conferiscano un aspetto florido.
La verità è che sto da dio.
Se penso che tre mesi fa giravo in stampelle e con più di un dubbio sulla ripresa funzionale degli arti inferiori, e il fatto che sono due mesi che corro regolarmente, con costanza, dai 12 ai 16 kilometri al giorno (e con tempi non male per uno che fuma un pacchetto di sigarette al giorno, beve non meno di un litro di birra a sera e lavora 10 ore con pressioni da paura) mi fa felice.
In quest'ultimo anno e mezzo sono riuscito, inconvenienti e incidenti di percorso a parte, a mettere in fila un bel po' di cose, a essere più concreto, a rasserenare certe situazioni relazionali e familiari, a essere più motivato.
A concentrarmi su cose pratiche.
A disciplinarmi più possibile.

Nei limiti del possibile, considerando le preoccupazioni che più si va avanti con gli anni e più impegni si prendono normalmente sono gravose, sono sereno.

Forse in uno dei periodi migliori della vita.

La cosa più importante però è che ho re-imparato a scartare.
A lasciar perdere le cose da lasciar perdere.
Per uno che cerca di tenere con se sempre tutto (per dire, ho ancora i quaderni delle elementari, i primi disegni, calzoni di vent'anni fa, credo addirittura il costume da cavaliere crociato di quando avevo 5 anniì) è un risultato.

M'attacco alle cose quando ho bisogno di rileggere un mio percorso, quello che ero, da quali strade sono passato.
E allo stesso modo, fatico a liberarmene perché sono consapevole della mia natura mutevole (e qui parte My ever changing mood di Paul Weller), quasi a scattare un'isantanea, tridimensionale e di cattivo gusto, di un me che so non durerà a lungo.

Gli oggetti mi parlano di me in terza persona, per questo mi ci aggrappo nei momenti in cui mi sento svuotato e avverto come un'urgenza il doversi ricostruire.
E mi accorgo che la riva è più vicina solo quando riesco a buttare la zavorra senza un rimpianto struggente.
Poi la vedo galleggiare via, portata al largo e la distanza tra lei e me sempre maggiore è la stessa distanza tra me e quello che sono stato, gli errori commessi, e inversamente proporzionale alla distanza tra me e nuove rive.

Perché tutti sbagliano, anche se per la mia espansionisticamente bismarkiana ego ciò risulta difficile da accettare.
Ho imparato (già lo sapevo, ma ho dovuto reimpararlo) che ogni sbaglio è costruttivo, ti forma esponendoti all'insicurezza e talvolta al panico e al dolore. Ma ho dovuto reimparare soprattutto che da ogni sbaglio si va avanti, ma che in nessun caso è possibile ritornare sui propri sbagli.

Anzi, credo che mai bisognerebbe considerare gli sbagli come tali, e le loro conseguenze come colpe da espiare.
Col senno del poi, certo.


Credo sia soprattutto una questione di prospettiva.

Una questione di scarto.

(nella foto, un autoscatto)

mercoledì 1 agosto 2007

No, dico...



... ma mi spiegate dove cazzo ve ne andate tutti?

(nella foto, un altro del quale sicuramente stasera passeranno un film)

martedì 31 luglio 2007

La morte ti fa bello




Che poi dico, bisognerà aspettare che muoia Ingmar Bergman per vedere Fanny e Alexander alla raitivvù?

(nella foto: quattro registi ai quali interessa molto poco vedere passare i loro film sulle tivù generaliste)