martedì 31 luglio 2007

La morte ti fa bello




Che poi dico, bisognerà aspettare che muoia Ingmar Bergman per vedere Fanny e Alexander alla raitivvù?

(nella foto: quattro registi ai quali interessa molto poco vedere passare i loro film sulle tivù generaliste)

Soli in Sala



Ho questo amico qui che lavora al Gherlinda.
Con la sua bella divisa e la sua visierina colorata in cinemascope gialloblu mesce popcorn e bibitoni.
A lui però piace il vino più di bugs bunny, così quando viene giugno è un cliente fisso della nostra enoteca, e ricambiamo la sua fedeltà con un trattamento speciale, rendendogli più piacevole possibile la serata.
E lui, per sovrappiù di gentilezza, usa regalarmi i suoi ingressi gratuiti al cinema. Cosa che gradisco, visto che non sono certo io il tipo che per eccesso di disciplina alternativa preferisce guardarsi un film sulle scomode sedie in legno cigolante con lo schermo decentrato di un magari glorioso cinema d'essai piuttosto che coccolato dalle poltrone e sfiancato dal dolby surround del Warner Village.
Ieri sera decido quindi di consumare questi tre ingressi prima che finisca luglio e scadano. Alla cieca, io il Ludo e il Pelo ci troviamo nel deserto del Gherlinda di fine luglio a cambiare i tre buoni con altrettanti biglietti per un film francese mai sentito ma dal titolo stupido come la situazione imponeva: "L'uomo medio più medio".
Alla cassa, la bionda mi passa scoglionatissima i biglietti: "siete soli in sala".
"non ci mettere troppo laterali allora!"
incasso il suo sguardo disgustato e entriamo.

Soli.

Ma soli soli, in una sala che credevo avessero scelto più piccola per programmare un film certo non pompatissimo dal marketing.

E' bellissimo potersi godere un'intera sala del Warner Village, ti dà la libidine sessuale di assaporare quella che credo si avvicini di più a una vera sensazione di libertà, cosicché cominciamo a occupare posti a trenta metri di distanza l'un dall'altro, che ci "costringono" a chiamarci a alta voce e per estremo spregio delle regole a non spegnere il cellulare e a allungare le gambe sulle poltrone avanti (wow! il brivido gelato del rischio).

Entra una coppia, e la baldoria finisce.


Poi oggi muore Antonioni, dopo che ieri era morto Bergman, e la sensazione di essere soli in sala è più forte.
E certo, molto meno bella.

lunedì 30 luglio 2007

Senza Tregua

Scusate, ho letto solo ora che sabato è morto Giovanni Pesce.

A lui dedico questo vecchio pezzo dei gang, a voi consiglio la lettura di una delle sue biografie "senza Tregua" e la lettura di questo ricordo di Settimelli, sull'unità, magari con i Gang di sottofondo.


Articolo estratto dal quotidiano L'Unità
di Wladimiro Settimelli

Come per tutti i ragazzini, le grandi imprese, il coraggio, la determinazione, l'impugnare una pistola in pieno giorno e andare all'attacco, richiedevano sempre un uomo grande e grosso, un eroe alto e massaccio, senza paura e pronto a scattare al minimo pericolo. Invece, Giovanni Pesce, medaglia d'oro della Resistenza, comandante dei Gap - i gruppi patriottici che attaccavano i nazisti e i repubblichini tra la gente, per strada, sul tram o in treno - era piccolino, tranquillo, silenzioso. Insomma, non parlava mai più del necessario e quando lo faceva erano parole senza ostentazione, protervia o sciocche vanterie. Quando lo aveva visto la prima volta, da ragazzo appunto, ero quasi rimasto deluso. Poi, con il trascorrere degli anni, avevo capito e , in più di una occasione mi ero fermato a chiacchierare con lui a lungo, nella speranza di capirne fino in fondo la mente, il cuore, le scelte, la paura e la tragedia: quella di dovere sparare a qualcuno, per strada, senza battere ciglio.

L'altra notte Giovanni Pesce, nome di battaglia «Visone», è morto a casa sua, a Milano, assistito dalla moglie Onorina, nome di battaglia «Sandra», la cara staffetta che, nel 1943, era l'unica a poterlo avvicinare per consegnare gli ultimi ordini del Comitato di Liberazione nazionale e della direzione del Pci. Già, perché il più famoso gappista d'Italia era comunista e veniva da una famiglia antifascista abituata al lavoro e alla sofferenza.

La biografia di Giovanni ha dell'incredibile. Quando lui raccontava di quella sua vita complicata e diversa dal solito, potevi stare ore ad ascoltarlo. Era nato nel 1918 a Visone D'Acqui, in provincia di Alessandria. Il padre, presto, molto presto, era stato costretto ad andarsene da casa e ad emigrare in Francia con tutta la famiglia. I fascisti non davano tregua. Erano finiti in un paesetto con le miniere e Giovanni, nella piccola vineria aperta dal padre, trascorreva ore e ore con «musi neri». A volte, qualcuno finiva lo stipendio cercando di soffocare nel bere la miseria e la nostalgia. Ecco Pesce, ascoltava sempre quei minatori e da loro imparava e capiva. Poi, anche lui, a quattordici anni, era finito giù nelle gallerie per quattro soldi.

Il giorno che l'Italia fascista aveva attaccato la Francia ormai messa alle corde dai nazisti, lo avevano trasferito in un campo di prigionia. Poi il rientro, da solo, a Visone. Una spiata lo aveva fatto finire in carcere e poi al confino di Ventotene , dove aveva conosciuto Pertini, Terracini e tanti, tanti altri compagni.

Nel 1943, con il crollo del fascismo, «Visone» era tornato di nuovo a casa. Poi, il partito lo aveva mobilitato per fondare i Gap a Torino. Ma il lavoro più duro e difficile lo avrebbe, più tardi, affrontato a Milano. Era stato inviato in Lombardia per occuparsi delle grandi fabbriche perché fascisti e nazisti terrorizzavano gli operai. Centinaia di loro venivano, tra l'altro, trasferiti nei campi di sterminio. E guai a protestare o scioperare. C'erano, tra gli addetti alle macchine di alcune grandi industrie, capi e capetti che facevano la spia. O personaggi che, per una manciata di soldi e qualche chilo di sale (che Italia terribile e piena di odio e di terrore in quel '43, '44 e '45) erano disposti a vendere chiunque. C'era bisogna, dunque, di una azione forte che facesse sentire agli operai che la Resistenza pensava a loro e alla loro protezione. Giovanni Pesce, dal nulla, aveva imparato a sparare, Non solo: portava sempre addosso due pistole, non una sola. Ed era diventato uno che non sbagliava mai un colpo. Viveva isolato in un microscopico appartamento e usciva soltanto per l'attacco improvviso e per incontrare altri due o tre compagni dei Gap. Ma quando entrava in azione era sempre solo: non si fidava di nessuno.

In uno dei tanti incontri, gli avevo chiesto: «Ma non avevi paura?», e lui: «Eccome». Poi aveva ancora spiegato: «Una volta ho detto ai compagni che quel comandante dei repubblichini addetto agli arresti nelle fabbriche, non era arrivato in ufficio. Invece c'era. Ma io ero stato colto dal tremito e dal panico e non avevo fatto nulla. La volta successiva, dopo alcune esitazioni, era partito deciso ad assolvere all'incarico. Ero entrato nel bar dove il comandante stava facendo colazione. Mi ero avvicinato e avevo spianato la pistola. Per un attimo ci eravamo guardati negli occhi. Un attimo che non finiva più. Avevo letto in quello sguardo la sua paura, il suo terrore. Poi avevo visto che stava mettendo la mano alla pistola. Allora avevo fatto fuoco tre o quattro volte. Subito dopo ero uscito e saltato sulla mia bicicletta. Dovevo giustiziare quel comandante. Sapevo dei nostri compagni e di tanti innocenti, torturati, impiccati, fucilati».

Quante volte hai sparato avevo chiesto a Giovanni. E lui aveva risposto: «Molte, molte volte. Non le ho mai contate». Poi ancora aveva aggiunto: «Sai che nel dopoguerra, su un tram a Milano, ho incrociato gli occhi con la moglie e figli di un famoso spione che avevo liquidato. Ci siamo sfioranti e ognuno e andato per conto proprio. Credimi è stata dura. Ammazzare, anche se in guerra e nella battaglia più grande per la libertà, non è facile. Ogni volta mi si stringeva il cuore».

Nella motivazione della medaglia d'oro, si ricorda che «Visone» era stato, insieme a un compagno dei Gap gravemente ferito, inseguito dai nazisti. Lui aveva preso sulle spalle quel ferito e, sparando come un pazzo, si era dileguato. Pochi giorni dopo, con altri, aveva assalto «Radio Torino» ed era riuscito a distruggere parte degli impianti, nonostante la presenza di una decina di nazisti e un gruppetto di repubblichini. Imprese incredibili e straordinarie.

Nel 1945, a Milano, nei giorni della Liberazione, era stato affrontato da un gruppo di ragazzini con il fazzoletto rosso al collo che avevano gridato: «Comodo aspettare che i partigiani ti liberino. Comunque, puoi uscire dalla cantina dove ti eri rintanato come un topo». Lui non aveva risposto, ma aveva sorriso appena, appena per poi girare oltre l'angolo.

Caro «Visone», la tua parte per tutti e per la nostra Italia, l'hai fatta. Un abbraccio.

Ancora buongiorno

che la giornata vi sia dolce, che gli eels aiutano

martedì 24 luglio 2007

Quinto Potere - Parte II

GLI INTOCCABILI




Black Dahlia ••
di Brian De Palma
con Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Hillary Swank, Aaron Ekhart
Un noir come piace a De Palma, giocato sulle ambiguità dello sguardo e dell'identità per un romanzo monstre di James Ellroy.
Il film sconta un po' i cliché del regista, restando sempre un po' sfiatato, nonostante la prova attoriale del cast (fenomeno Ekhart, la Johansson è invece oltremodo indisponente con l'esasperazione delle sue moine e broncini), anche manieristico vista la distonia tra regia e sceneggiatura che non asciuga la letteratura del romanzo come invece faceva in LA Confidential.
Comunque una festa per gli occhi di chi ama vedere scrivere la macchina da presa.



L'ultimo Inquisitore •••
Film solo all'apparenza filotelevisivo, in cui la sapienza registica di Forman pennella non un contesto storico, ma fantasmi, ombre, incisioni di personaggi oscillanti tra bene e male, tra gli eventi storici e le ambizioni e le grettezze umane. Memorabile la sequenza della zincografia: un omaggio filologicamente perfetto e estremamente delicato all'arte e all'artigianalità. premio per la traduzione del titolo più scemo dall'inglese (Goya's Ghost) all'italiano



The Departed •••
di Martin Scorsese
con Jack Nicholson, Leonardo DI Caprio, Matt Damon
Film di maniera per Scorsese. Se non fosse lui, comunque, (e se non avessimo visto l'originale) grideremmo al capolavoro.


Miami Vice ••••
di Michael Mann
con Colin Farrel, Jamie Foxx
Dopo Collateral, un'altra perla per chi non ha paura di confrontarsi col grande pubblico portandogli il suo punto di vista.
Un film tormentato, sporco, sgranato. Come piace a me.



L'ODIO




300 •••
Di Zack Snaider
Un film (e un fumetto) visivamente, cinematograficamente dirompente. Un film (e un fumetto) estremamente reazionario. Al limite dell'esaltazione nazistoide. Una contraddizione che è difficile da sciogliere, forse impossibile.
Snaider girerà anche il film di un altro fumetto, Watchmen, all'opposto rivoluzionariamente anarchista, segno di una confusione piuttosto evidente... e probabilmente di una mancanza di punto di vista.


PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA UN CALESSE


Volver •
Di Pedro Almodovar
con Penelope Cruz
L'ho recensito male ai tempi dell'uscita nelle sale, l'ho rivisto in dvd. Non ho cambiato opinione.

Quinto Potere - la classifica dei film della stagione passata - Parte I

Luglio è quasi alle spalle, mi pare un momento opportuno per stilare, per chi ne fosse interessato, la mia personale classifica dei film visti quest'anno. Ho diviso in categorie, Eternal Sunshine cioé i 5 migliori film in assoluto, Ogni cosa è illuminata cioè le sorprese, film d'esordio o film a cui avevo dato meno fiducia di quanto meritassero, Gli intoccabilifilm di grandi autori che danno ancora lezione di cosa è il cinema, L'odio ovvero film di cui mi è piaciuto la qualità cinematografica ma non il messaggio, Pensavo Fosse amore invece era un calesse film che preferirei dimenticare presto.

Queste classifiche sono, ovviamente, arbitrarie e non esauriscono tutti i film che ho visto durante l'anno, e ne tengono fuori altri che non sono riuscito a vedere (due mesi di infortunio a casa hanno influito parecchio): mi riferisco ai due di Eastwood, all'ultimo Gondry, alla Maria Antoinette della Coppola, a Ken Loach e Von Trier e diversi altri.

Discorso a parte, che prometto/minaccio farò in un prossimo post, per il cinema italiano.

ETERNAL SUNSHINE


The Prestige •••••
di Christopher Nolan, con Hugh Jackman, Christian Bale, Scarlett Johansson
Un'illusione di un'illusione di un'illusione. Magia assoluta. Miglior Film della Stagione in assoluto, per me.




Il Labirinto del Fauno ••••
di Guillermo del Toro
Il franchismo attraverso gli occhi incantati del fantasy, che manipola un realtà mostruosa a volte più della fantasia.




Babel ••••
di Alejandro Gonzales Inarritu
con Gael Garcia Bernal, Brad Pitt, Kate Blanchett
Una farfalla che sbatte le ali in messico causa un uragano a Holliwood.




Zodiac ••••
di David Fincher
con Jake Gyllenhall, Robert Downey JR, Mark Ruffalo
La morte non è l'unico modo per perdere la vita con un killer.




I cento chiodi ••••
di Ermanno Olmi
con Raz Degan
Una magnifica provocazione, una grandiosa contraddizione narrativa che nega il valore di una cosa, utilizzando la stess per negarla.





OGNI COSA E' ILLUMINATA


Guida per riconoscere i tuoi santi •••
di Dito Montiel
con Shia LaBeouf, Robert downey Jr, Rosario Dawson
Esordio autobiografico e metalinguistico per il bravo Montiel. Con in più un cast di ottimi attori, su cui spicca il giovane LaBeouf. Da tenere d'occhio, in America lo paragonano già a De Niro.




Slevin - Patto Criminale •••
di Paul Mc Guigan
con Josh Hartnett, Bruce Willis, Morgan Freeman, Ben Kingsley
Un thriller con un meccanismo perfetto: in una stagione molto virata al noir, questo Slevin non sfigura ed è una piacevolissima sorpresa.




Little Miss Sunshine •••
di Jonathan Dayton
con Greg Kinnear, Toni Collette
Delicato, corrosivo, divertente, malinconico. Che chiedere di più a un film? che abbia anche una colonna sonora fighetta? questo ce l'ha (bella la scena in cui parte Chicago di Sufjan Stevens)

Gli è andata proprio di culo



... Uno dei tanti perché Repubblica è la schiuma dell'"informazione"...

giovedì 19 luglio 2007

martedì 17 luglio 2007

A Love Supreme




Non c’è mai fine. Ci sono sempre dei suoni nuovi da immaginare, nuovi sentimenti da sperimentare. E c’è la necessità di purificare sempre più questi sentimenti, questi suoni, per arrivare ad immaginare allo stato puro ciò che abbiamo scoperto. In modo da riuscire a vedere con maggior chiarezza ciò che siamo. Solo così riusciamo a dare a chi ci ascolta l’essenza, il meglio di ciò che siamo.
JC


Oggi.
Quarant'anni fa, moriva John Coltrane.
Oltre che un grandissimo musicista, un grandissimo compositore.
A Love Supreme l'ho scoperto tardi, così come il Jazz, nel momento in cui la traiettoria della mia formazione musicale ha deragliato dalla linea retta dei primi anni tutti rock per esplodere in tutte le direzioni. E certo, questo album non mi era sconosciuto, almeno nel nome, essendo uno dei lavori più citati, amati e omaggiati anche in ambiti "non sospetti" come appunto quelli del rock.

Durante una delle solite sedute di yoga che faceva la sera e che tanto avevano contribuito alla sua disintossicazione, Coltrane sente una melodia risuonargli in mente. Non può, per lui, essere altro che un messaggio di Dio, arrivato al culmine di un periodo molto travagliato.
In studio, concepisce una delle pietre miliari della storia non solo del jazz, ma della musica nella sua interezza: un'opera divisa in quattro movimenti, che lo sgancia dalla consuetudine di mettere in un album pezzi derivanti da incisioni differenti, e lo avvicina da un lato alla musica classica e dall'altro gli fa creare quello che è forse uno dei primi concept album della musica popolare (cambiandola per altro, facendola diventare "altro": molti datano il passaggio del jazz da musica popolare a musica colta proprio dalle parti del timido sassofonista timorato di Dio).

In quei quattro movimenti, originati da un'unica successioni di accordi, ripetitivi, semplicissimi, Coltrane inietta le più ispirate improvvisazioni di sax della sua carriera. Le più ispirate, e certo tra le più innovative nel loro modo di suonare gonfie, dense e di contro intessute di fraseggi secchi e asciutti, talvolta andando contro la stessa base ritmica del resto del suo quartetto (Garrison al basso, Tyner al piano e l'immenso Elvin Jones alla batteria), utilizzando, contemporaneamente, tutte le tonalità a disposizione.
Coltrane fa "suonare" Dio: nella sua infinità, nella sua purezza, nella interezza che nasce dalle dicotomie.

Si parte dall'atmosfera contrita e pensosa, intensa del primo movimento, "Aknowledgement" per arrivare alla presa di coscienza e alla decisione di cambiamento di "Resolution", delicata e al tempo stesso decisa, fino alla forza potente della "Pursuance", la costanza martellante del mettere in pratica decisioni prese.
E tutto si risolve e scioglie del "Psalm" finale, con la musica che pare salire salire salire per arrivare fino all'Altissimo in persona.

Un disco meraviglioso, notturno e al tempo stesso solare, un vero e proprio percorso, umano prima che musicale, dolentemente tormentato e al tempo stesso sereno e fiducioso. Un capolavoro d'arte, che è difficile ascrivere per il suo spessore alla sola disciplina della musa Euterpe, ma che appartiene di diritto al patrimonio più essenziale dell'umanità.

Questo disco è stato inciso nel 1964, tre anni prima che Trane morisse, anzi, che si lasciasse morire rifiutando ogni tipo di cura e lasciando un vuoto grande nel panorama musicale mondiale. Come disse Red Garland: "Era un sincero, un passionale. Si è distrutto suonando troppo. La creatività, che aveva dentro e non gli dava tregua, lo ha fatto morire. (...) Dopo Parker è arrivato Trane. Poi, quando anche lui è scomparso, è rimasto il deserto. Arriverà un altro messia? All’orizzonte non appare nessuno."

Ma Trane, forse, obietterebbe a Garland che non c'è mai fine...

venerdì 13 luglio 2007

Una pizza in compagnia



che ne dite stasera di una pizzetta? Per salutare degnamente il compagno ingegnere in procinto di trasferta lazial-teutonica, chiaro.

Dappertutto, tranne che lì alla Pompei, savasandìr.

PS io direi alle 21-21,30.

(nella foto, la pizza perfetta alla quale anelo. Oddio, in effetti pare più una tortina...)

venerdì 6 luglio 2007

Peter Gabriel Rules!



... AH no, scusate, questo è Faletti...




dunque... vediamo... Ah ecco!







ieri sera, nella splendida cornice di Piazza Grande in Arezzo, più di un'ora e mezzo di musica da un pezzo della stessa.
A 57 anni una carica che l'80% dei "giovanotti" visti in questi due anni se li mette in tasca.

(nella foto sotto, il vero Peter Gabriel.
In quella sopra, un autore di minchia... signor tenente)

martedì 3 luglio 2007

R.I.P.



Si è spenta domenica, prematuramente, la carriera calcistica del personaggio narrante, interrompendo una storia tra lui e il calcio giocato durata più o meno ininterrottamente ventitre anni.
Con reciproco disinteresse e sollievo di entrambi, il narratore e il calcio, peraltro. E degli sventurati che hanno sopportato il peso di scendere in campo al fianco di un nervosissimo e verbosissimo fabbro del centrocampo e della difesa che li riempiva di contumelie. Quando era sereno.

Ne danno il triste annuncio la caviglia sinistra e il ginocchio destro del gerontocrate titolare del blog.

Non fiori ma opere di bene.

lunedì 2 luglio 2007

la democrazia...



http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/07_Luglio/01/usa_cane_voto.shtml

Primati



Così sarà possibile, anzi, molto facile recitare la messa in latino anziché nella lingua nazionale.
La messa in italiano in pratica è durata 44 anni.
A pensarci, il socialismo reale ne è durato 70