martedì 25 settembre 2007

Tre e quattordici




Alle 6,15 di mattina non c’è il sole. Verrà su verso le 6,50, come ho imparato nelle ultime due settimane nelle quali ho preso l’abitudine di alzarmi in orari per me impensabili prima, vedendo l'alba ogni giorno cinque minuti dopo del giorno precedente.

Per correre.

Privilegiato a pensarsi il primo a vedere il verso della giornata che sarà e a respirare un’aria non ancora corrotta dalle fatiche e dalle pesantezze del lavoro e del lavorìo della sua inevitabile immanenza che balena sulle prime auto di una strada vuota che, umida, a quell'ora odora come potrebbe l’erba appena tagliata.

Il riso è pronto, l’ho preparato ieri sera insieme agli altri ingredienti con cui da lì a pochi minuti farò una prima abbondante e lauta colazione.
Nel “pastone”che preparo aggiungo il latte, che non è molto indicato, ma è per me irrinunciabile. Vorrà dire che dovrò prepararmi a allungare ogniqualvolta, soprattutto nei primi chilometri, si presenterà la necessità di inserire il mio specialissimo “turbo” non catalittico.
Irrinunciabile, come la prima sigaretta dopo il caffè. Più che un podista, un po’ dista.
Un po’ tanto distante dagli standard del genere.

Alle 7,45 puntuali ci incontriamo col Massi, rapido trasbordo di tute e integratori (suoi) sulla macchina (mia) e si parte alla volta di Ponte San Giovanni.
Raggiungo i miei nuovi compagni di squadra dell’Atletica Avis Perugia e poi il bancone iscrizione per pagare la mia quota. Questa mezza maratona m’è costata parecchio: dai 45 Euro per la visita sportiva specialistica, i 12 euro d’iscrizione, agli euro per l’equipaggiamento tra scarpe e materiale tecnico dry-fit. M’è costata sacrificio in termini di costanza e fatica, coi pomeriggi e le mattine passate a correre, la disciplina necessaria nell’alimentazione e nel riposo.
Non che sia un professionista, intendiamoci. Ma se devi fare una cosa devi farla bene e con tutti i crismi, soprattutto portala fino in fondo. E’ un po’ così: non esiste provare, solo riuscire. Disciplina da Armata Rossa che mi fa godere.

M’è costata questa 21 chilometri da Ponte San Giovanni a Torgiano e ritorno, ma quello che m’ha dato indietro, fin qui, fa andare il saldo nettamente a mio favore.
Una maggiore disciplina, non solo nel regime sportivo, ma anche nell’organizzazione della giornata, la scoperta di gente nuova che ruota intorno a questo meraviglioso sport, alla sorpresa di posti di una natura lussureggiante e lussuriosa che sbucano in piena città non appena ti allontani dalla strada principale che sei abituato a percorrere in macchina e che fa da binario alla tua giornata da treno incatenato all’abitudine delle scadenze e del lavoro. La sorpresa anche di te stesso e dei tuoi limiti, capire quanti ne hai e che lavorandoci è possibile superarli, anche di poco. Tenere duro quando non ce la fai, gestirsi nel medio periodo, superare i momenti di crisi.

Ritiro quello che spero essere solo il primo pettorale della mia vita.
181.
Siamo circa in mille a essere iscritti a tutte e due le competizioni (10 e 21 km), dicono.

Il clima è bellissimo, reso ancora più bello dai miei occhi ancora immacolati al clima di queste manifestazioni: bande, motoclub a far da passerella d’apertura, tanta gente, bambini, anche alcuni stand di promozione (c’è quello dell’adidas, e allora mi sento uno serio al cospetto del Brand With Three Stripes. Penso alle mie Gazelle. M'inchino intimamente).

Piccolo riscaldamento, non prima di sciogliere il dubbio amletico sull’abbigliamento cercando di capire se correre solo in canottiera mi esporrà a influenze o colpi d’aria e non prima di sciogliere il dubbio di quanto questo ragionamento assomigli a quello della “maglietta della salute” della mamma.

Si parte.

L’obiettivo è (in ordine crescente): finire la gara arrivando all’arrivo, finire la gara arrivando all’arrivo possibilmente correndo, finire la gara correndo sulla soglia della decenza podistica (5 minuti al chilometro), finire la gara tra i primi 500 (siamo tra competitivi e non circa 800), finire la gara tra i primi 350, finire la gara tra i primi 100, finire la gara tra i primi 50, tra i primi 10, vincere la gara.

Ottimisticamente ritengo che i primi due siano alla mia portata, e forse anche il terzo.
Ritengo improbabile la vittoria, a meno di una bomba sul tragitto abbinata alle mitragliatrici di un qualche gruppo terroristico di rivendicazione dei diritti dei lavavetri.

I primi chilometri corro affiancato al Massi, decidendo di non forzare per riuscire a centrare il primo obiettivo, quello di finire la gara, gestendo lo sforzo. Ma sto bene, la giornata è serena e l’aria frizza tra i peli delle narici.
Le gambe sono leggere (i due giorni di riposo presi mi hanno dato freschezza) e anche il dolorino accusato nella sgambata del giovedì dietro il ginocchio destro, quello infortunato a febbraio e che mi aveva preoccupato nei due giorni di astinenza dal podismo, sembra non esserci.

Decido quindi abbastanza presto di aumentare leggermente il ritmo. Distanzio il Massi di poche centinaia di metri e corro da solo per alcuni chilometri. Arrivo al decimo chilometro (affiancato di nuovo dal Massi che nel frattempo ha deciso che si è scaldato e ha aumentato anche lui il ritmo) appena uscito dal centro di Torgiano sul tempo di 51 minuti abbondanti. Sto ancora bene, anzi più passano i chilometri e più mi rendo conto che la falcata resta fluida, i pensieri sono coordinati al respiro e il senso di benessere è di molto superiore alla fatica. In più dalla partenza (che ho fatto di almeno un minuto dopo quelli più prossimi alla linea) non ho fatto che superare, superato solo una volta da un tipo pelato che conosco bene di vista vedendolo correre spesso al Percorso Verde. Decido di fare la corsa su di lui.
Sono sopra la media dei 5 minuti, ma non di molto. Aumento progressivamente ritmo e falcata. Arrivo ai 15 chilometri col pelato a fianco: il ritmo del respiro di quelli che affianco e supero denuncia note baritonali di fatica che mi danno forza. Il mio esercizio aerobico è costante, ancora dolce, non viziato da affanno. Ho anche espettorato meno umori del solito. Mi sento ancora in stato di Grazia. Massi non lo vedo già da un po’.
Diciassettesimo chilometro. Tiro fuori mezza pastiglia di enervit per lo sprint finale. E’ buona, sa d’arancio, e allora ne mastico un’altra solo per il gusto. Intanto il pelato sta cedendo, lo sento, lo sto per piantare lì, ne sono sicuro, questo lo inchido, vai così; così quando il deficitario di crine prende e fa un allungo abbastanza repentino lasciandomi sul posto resto basito. Ma solo il tempo di vedere che si ferma dieci metri più avanti, vicino a una tipa con cui si mette a parlare di come va e come sta, e penso malignamente che sta cercando di abbandonare la personale competizione, durata 5 chilometri buoni, dissimulando indifferenza.

Infatti nemmeno 30 secondi e sono davanti a lui e alla sua tipa.
Sorrido, come il Riccardo III scespiriano.

Però ora sono da solo a fare la corsa, avendo perso il mio punto di riferimento. Prima che mi senta come la Dc dopo la scomparsa del Pci e imploda un podista sui 50 arriva da dietro mi si affianca e mi passa. Ha una canotta dell’Atletica Ponte Felcino. Decido di fare la gara sul paesano di Trippa.

Siamo ormai a due chilometri dall’arrivo e non ho fatto altro che aumentare il passo. Adesso i sorpassi sono più veloci e più frequenti, mi sembra che gli altri stiano camminando confronto a me e al felcinate, e a un altro tipo in canottiera blu che s’è affiancato anche lui. Superiamo il Park Hotel a un buon passo quando tre podisti davanti che chiaccherano tra loro correndo in linea mi rendono un po’ macchinoso il sorpasso. Il cinquantenne mi prende una decina di metri, mentre Canottablu è sempre vicino a me.

Di nuovo, ritmo e falcata. Entro nel sottopassaggio sotto la strada a un ritmo di corsa veloce col tipo di Ponte Felcino davanti di 15 metri e Canotta attaccato come una sanguisuga, entriamo nell’ultima curva in pieno allungo. Le mie gambe si aprono per tutta la loro lunghezza, sono un compasso. Sto correndo, quasi uno scatto mentre calpesto la pedana sotto il tappeto rosso della passerella finale.
Soffro.

Tengo duro. E’ finita, èfinitaèfinitaèfinita mi dico, dài ora, dàizziocane.

Recupero altri cinque metri al cinquantenne e corro sempre appaiato al Canotta. Ci siamo- dieci, nove sette, cinque metri- superiamo un altro podista-quattro metri-concéntrati concéntrati-due metri-dài tutto, dài tutto quello che t'è rimasto che ne hai ancora– CAZZO DEVO FERMARE IL CRONOGRAFO!
Il tempo di trovare il tasto Stop e l’altro tipo mi ha passato di un collo.
1h44’33’’.

314° assoluto.

5 obiettivi raggiunti.

Becco Tenerini all’arrivo che era lì col Lambretta Club e che mi prende bonariamente per il culo (" oh se armasto solo 'l telaio, frego", però mi dice che corro bene e mi fa un sacco piacere), vedo la Maria Giulia che ha finito la sua dieci chilometri da un’ora.

Premo il tasto per salvare la registrazione del tempo sul cronografo pensando all’ortopedico, il dottor Bruno, che a febbraio mi disse: “ la frattura non è grossané particolarmente brutta, ma è in un punto articolare piuttosto delicato. Tornerà a posto, ma è molto molto probabile che avrai problemi di zoppìa”.

Sorrido ancora, come Riccardo III.

Anzi no, sorrido sornione.

Come il dottor House.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

beh, pamper. congratulations. a quando una maratona intera?

Personaggio Narrante ha detto...

aprile, vorrei fare Londra.

Anonimo ha detto...

bulo

Anonimo ha detto...

Avendo condiviso le prime uscite al percorso verde, sento questo post un po' mio e rimango quasi commosso dal racconto, bravo Pampa. Leggendo mi è tornato in mente Krabbè, e Gozzi capirà

Anonimo ha detto...

Fochi ci manchi, e certo, questo post è anche un po' tuo... ti ricordi quando non finivamo nemmeno un giro? cos'era, fine aprile?

Anonimo ha detto...

ma chi è Krabbé? Dai Fochi spiegheme

Anonimo ha detto...

Lo so mi mancate anche a me, io provo pigramente a fare qualche corsetta per i campi, tra lepri e fagiani, ma non è come le uscite con te e il percorso misto, qua di salitelle non se ne vedono...comunque mi sa che era fine Aprile sì. Krabbè è probabilmente il più grande ciclista che abbia letto. Merito di Gozzi. Un olandese che ha scoperto il ciclismo a 29 anni e ha iniziato a correre, trascinato dagli obbiettivi da raggiungere, ma è meglio farti leggere il libro. La corsa, Tim Krabbè, Marcos Y Marcos, Gozzi docet...prometto di allenarmi per venire a fare almeno una mezza maratona con te prima di morire. Ti batterò, caro compagno

Anonimo ha detto...

venderò cara la pelle, compagno.

Ad Aurich quando torni dall'Olanda. Ho comprato pure una bicicletta per andare al lavoro. Con relativo casco. Mi sto teutonizzando.

che te magni stasera?

Anonimo ha detto...

Leggendo ho pensato a Wagner...
bella Danielì!

Anonimo ha detto...

ciao ily!

Anonimo ha detto...

Grande runner, so contento!
Però non esagerà, amo è na vita che non te vedo!
a breve urge una birra, se ancora te le concedi!

Anonimo ha detto...

me la concedo gabri... magari una tourtel! a breve

nicolap ha detto...

ciao,
gran bel pezzo sulla corsa
sei uno che ha capito tutto, o quasi.

Nicola