mercoledì 23 gennaio 2008

Un sacco

Un mese e un giorno esatti che non scrivo. Lo faccio oggi, nell’86° anniversario della scissione socialista di Livorno che diede vita al PCdI, poi divenuto PCI. Giorno che coincide peraltro con l’86° compleanno di mia nonna.
Sì, è nata lo stesso esatto giorno dello stesso esatto anno in cui nasceva a poche centinaia di chilometri di distanza il Partito Comunista (non ho notizie certe sull’ora, ma non me le pongo per non avere l’immagine di mia nonna come figlia parallela di Bordiga).
Con la differenza che lei è ancora viva (auguri nonna).

Mia nonna ha 86 anni, e da quattro l’osteoporosi degenerativa che l’affligge la immobilizza su una sedia a rotelle. Lo spirito è forte, ma è comprensibilmente fiaccato da un’immobilità che non le è mai appartenuta finché la salute la reggeva. È sempre stato un donnino piccolo, quasi ripiegato su se stesso, e a vederla ora pare un fiore fragile che si chiude per proteggersi, un sacco di sabbia mezzo vuoto in mezzo alla stanza.

Mia nonna è come questo Paese. Ha vissuto, una vita piena e dignitosa, senza particolari ambizioni, capitalizzando le fortune che le capitavano e affrontando i problemi. Una “contadina dai fianchi larghi”, anche se i fianchi, nel suo caso, larghi non son mai stati.

Ha gli occhi lucidi, mia nonna, per via di una congiuntivite ormai cronica, cosicchè sembra sempre sull’orlo di piangere lacrime di disperazione (ma anche di gioia, come quando domenica a pranzo il nonno le ha portato un mazzo di fiori “per festeggiare la mia sposa”).
Mia nonna è un sacco di iuta pieno di lacrime.

Questo paese è invece un sacco d’immondizia. Dalla sceneggiata sulla “censura” papalina creata ad hoc (sono 275 i giorni all’anno di presenza del papa sui TG, distribuite in 206 presenze a pranzo, 227 a cena e 158 a pranzo e cena - che non ci facciamo mancare niente - e una percentuale di notizie sul Vaticano che non scende sotto il 10% in ogni edizione di ogni TG con picchi vicino al 30% della domenica), al susseguente e surreale dibattito sulla libertà di parola, alle argomentazioni usate per sfilarsi dalla maggioranza di Mastella, alle uscite democratico-veltroniane, alla caccia mediatica (e no) allo straniero e al diverso, a tutto il dibattito “culturale” e “politico” ho in generale la sensazione che è più d’una sensazione di trovarmi di fronte a un sostanziale svuotamento del linguaggio e capovolgimento dei significati.
Cosicché il carnefice è vittima, il ladro onesto, l’ignorante colto, il razzista tollerante. Non si semplifica, si banalizza.
Non si spiega, si manipola.
C’è un’insopportabile olezzo di “buonsensismo” in questo Paese, un'omogeneità di pensiero (peraltro regressivo) che si vuol far passare come obiettività e che grava come una cappa pesante: sulla libertà di pensiero e sul senso critico, e che presenta gli abominii soggettivi del fascismo (paura, delazione, disprezzo degli altri) senza averne nemmeno lo slancio vitale.

Il mio augurio per questo nuovo anno lo rubo ad Alain Badiou: "Che gli stranieri ci insegnino almeno a diventare stranieri a noi stessi, abbastanza per non essere più prigionieri di questa lunga storia occidentale e bianca che volge al termine, e di cui noi non abbiamo più nulla da attenderci se non la sterilità e la guerra. Contro questa attesa catastrofica, sicuritaria e nichilista, salutiamo l’estraneità del mattino”
(scritto il 21 gennaio 2008)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quando me la presenti tu' nonna? La posso conosce' anch'io?