mercoledì 30 aprile 2008

Pro-Memoria


Ostia | 28 aprile 2008
A Ostia fatta a pezzi la targa delle Fosse Ardeatine

La targa commemorativa delle vittime delle Fosse Ardeatine, collocata in piazza della Stazione Vecchia ad Ostia, quartiere del litorale di Roma, è stata fatta a pezzi con un grosso martello. Pochi dubbi sugli autori dell’atto di vandalismo: sopra alla targa è stato scritto, con la vernice, «Il popolo di Ostia inneggia al Duce». [...] (RaiNews24, 28-04-08)


Quelle martellate non colpiscono un monumento, un feticcio inerte, non solamente: colpiscono noi, carne e sangue, la memoria e il conflitto, prima di tutto culturale.
Aspettiamoci nei prossimi anni molte altre di queste martellate (ne abbiamo esempi decennali alle spalle, ma certo la "tabula rasa" risultato di questi ultimi tre mesi è per certi versi una novità, una orrida novità).
D'altronde si comincia a distruggere proprio dai simboli.

Nessuna fiducia in una classe dirigente rappresentativa in parlamento solo dei suoi interessi e degli interessi dei suoi committenti potentati capace di una sola vittoria a cinque mesi dalla fondazione del PD: aver contribuito alla semplificazione del quadro politico emarginando coattamente le forze di sinistra (peraltro gravemente corresponsabili della propria scomparsa attuale), agendo da perfetti sicari per i titolari dei culi ai quali hanno attaccato le lingue per ventanni (e vedere esultare Montezemolo per questo è stato doloroso, ancorché perfidamente comprensibile).

Omicidio d'altronde squisitamente simbolico, anche questo, vista l'autoreferenzialità della classe dirigente della sinistra l'arcobaleno (ma si può essere peggio di così per scegliere un nome del genere, laddove trasuda fin dalla grammatica il clima delle riunioni di vertice tra Satrapie chiuse?), la sua inadeguatezza storica, la sua inefficacia aanalitica e pratica, il suo fallimento politico e sociale.

Un PD che già fa intuire la annunciata "fermezza e orgoglio" (oltreché l'utilità, per contrappasso, tiè) della propria presenza all'opposizione rinunciando persino a presentare una candidatura anche di bandiera per gli scranni di camera e senato.

Intanto però alcuni segnali, passati sottosilenzio come l'atto fascista d'Ostia, devono essere salvati dal magma di parole e pensieri goebbelsiani prezzolati di un'informazione ipertrofizzata sui temi della sicurezza e del turbosfruttamento (con vere e proprie peculiarità eversive) .
Vicenza nel cuore del nordest da marea verde passa al centrosinistra (compiendo una rimonta elettorale clamorosa) per l'intelligenza - e certo la convenienza - di un candidato che ha rotto i tabù delle compatibilità Piddine (incontrando anche i malumori di potentati democratici locali e nazionali) sostenendo apertamente le ragione dei comitati No Dal Molin. Un candidato insomma che ha ascoltato la propria comunità e le sue ragioni.
E che risponde a Berlusconi che si era appellato immediatamente dopo il voto al "buon senso" dei vicentini (parole che erano risuonate e risuoneranno sulla bocca bipartisan di Prodi e di tanti altri dirigenti piddini), che il buon senso è quello che suggerisce di non arrogarsi il diritto di fare ciò che si vuole senza rapportarsi alle ragioni delle comunità interessate.


SI riparta (anche) da qui, per lo meno nella pratica elettorale.

Si riparta, invece, dal rifiuto della semplificazione (vero vessillo della campagna veltroniana e insieme summa di una strategia lunga venti anni da parte di quel gruppo dirigente fallimentare) che porta acqua solo agli interessi economici e politici avversi alle classi popolari (che si pretende di cooptare alla logica "padronale" da e in posizione subalterna) e che è una delle chiavi del perché i lavoratori votano lega o pdl, forze che hanno interesse e (grazie all'incapacità - e alla non volontà - dei cosidetti riformisti di riformare il sistema dell'informazione e della concentrazione capitalistica) soprattutto i mezzi per preparare un terreno di paura e insicurezza per poi passare all'incasso con risposte semplificate e rassicuranti.

Combattere, attraverso il lavoro culturale - un immane lavoro - quella che il sociologo Galbraith aveva ben sintetizzato col termine "saggezza convenzionale": la tendenza fisiologica dell'uomo ad associare la verità alla convenienza, ossia quanto non disturba il proprio interesse, il proprio benessere e il proprio comodo.

Si riparta da quelle che vengono sbeffeggiate come posizioni "radicali" e trattate con la conseguente sufficienza snobistica e interessata dai soloni a cui invariabilmente si presta l'orecchio da parte di una classe politica autoreferente, inamovibile e stitica di idee che non siano di respiro brevissimo, a uso e consumo immediato (e il veltronismo è finito, sono d'accordo con la Armeni, per l'incapacità di essere funzionalee paradossalmente "utile" in una logica non governativa, privo com'è di una qualsivoglia idea di sistema/società per quanto blandamente diversa e "promessa", che resista alla mancanza di ruoli amministrativi).

RadicalI, che vadano alla radice.

Prima di tutto delle parole.
Che sono usate per raggirare le persone (si pensi a "soluzione finale" in luogo di "sterminio" o a "termovalorizzatore" per "inceneritore") anziché per emanciparle.
Non a caso un'intera generazione d'intellettualità italiana è sta "espulsa" dal paese: da politiche di compressione inesorabile di investimento (i famosi cervelli in fuga), soverchiata nelle sue -ovvie peraltro- ragioni dalle grida di un'informazione asservita (si pensi al caso del papa alla Sapienza), precarizzata e resa dipendente quindi asservita essa stessa.


Si dia pane al pane. Verrà il tempo del vino

1 commento:

Anonimo ha detto...

see here....
no scherzo, cazzo, mi inchino alla tua analisi.