lunedì 4 giugno 2007



Zodiac non esiste. Non esiste come serial Killer (non ha un nome e un volto, non ha nemmeno un modus operandi unico) , non esiste nemmeno come serial killer protagonista di un film su un serial killer.

E d'altra parte è un personaggio reale, esistito, e ha seminato morte e messaggi in più di dieci anni di vita americana.
Per certi versi è un'ossessione, e Zodiac un film sull'investigazione, non un thriller. Tre personaggi si troveranno progressivamente, parallelamente, collaborativamente a indagare su questo serial killer, fino a pagare il loro tributo alla propria ossessione, in modi diversi... Il detective Toschi (un grande Mark Ruffalo, uno degli attori emergenti secondo me più interessanti del nuovo cinema americano degli ultimi dieci anni) tirandosene fuori un momento prima di cadere nel baratro, il giornalista interpretato da Downey Jr facendosi annegare nell'alcool, e il vignettista Graysmith (Jake Gyllenhall) riuscendo a pubblicare il libro su Zodiac non prima di aver rischiato di perdere tutto (e tra questo tutto una Chloe Sevigny splendidamente sciapa) sacrificandolo a questa ricerca di un'identità che non sarà scoperta (non ha caso l'urlo di locandina recita pressappoco: "c'è più di un modo per perdere la vita con un serial killer").

Perché Zodiac, il killer, non ha moventi, non ha lo stesso modo di uccidere, non ha nessun rituale di morte. Un film su un assasino che non rientra in nessuno schema del personaggio di genere. Già questo fa capire che non è la suspance o la ricerca di risolvere il giallo il cuore del film fatto palpitare da fincher.

Chi è Zodiac, è Leigh? O Chris Marshall? O ancora Leigh? E soprattutto, alla fine è così importante saperlo?

Fincher è un regista estrememente interessante, che dimostra a ogni film di essere qualcosa di là dal semplice artigiano e esecutore di film a grosso budget (e grande incasso). Interessante perché non mette in discussione la forma delle regole (i ritmi sono sempre ben studiati, così come l'alto tasso di spettacolo per poter essere un blockbuster), ma le usa per maneggiare la sostanza filmica, fino a plasmarne il contenuto fuori dagli stereotipi.

In questo film rinuncia addirittura ad alcuni dei suoi movimenti di macchina più caratterizzanti (e videocclippari), arrivando a una certa asciuttezza difficilmente riscontrabile in film di questo tipo (e soprattutto nel Fincher precedente).

Anche la fotografia è pastosa, a grana grossa (ben diversa da quella patinata e accecante di film come se7en e Fight Club, e precisa come i meccanismi di montaggio), una grana grossa a dithering approssimativo come quella delle foto dei quotidiani intorno aiu quali la vicenda del killer Zodiac ruota, anzi, non solo ruota, nasce e si esaursce. In un certo senso Zodiac ha una vita solo in funzione della sua vita mediatica: non è il più efferato degli assassini seriali a stellestrisce, sicuramente è il più mediatico.
Vive tra le colonne dei giornali, tra le righe degli schemi dei suoi enigmi, e quindi sparisce nel momento stesso in cui decide di smettere di comunicare con essi, non mandando più messaggi o lettere.
Al di là di questo, tutto è sfocato: nessuna prova seriamente probante ma molte indiziarie e non univocamente (tanto che a un certo punto nel vortice del sospetto di un debilitato e febbricitante - la febbre, una cifra degli "eroi" di David Fincher - Gyllenhall finiscono un po' tutti).

Addirittura per certi versi il racconto si rarefà, sottraendo progressivamente tutti i cliché sul serial killer così come descritto dalla filmografia di genere (e della quale anche Fincher è stato mirabilmente parte). Il risultato è un allontanamento dalla forte carica di suspance iniziale (le scene degli omicidi) e dall'idea di male stereotipo (e autoconsolante) di personaggi di questo tipo. Fincher ci suggerisce la banalità del male, che può essere senza un volto specifico o con mille volti diversi, amorfo, triturato dai media e rivomitato in un caleidoscopio autoreferenziato. Che parla di noi, dei nostri tempi, in ultima istanza, molto più di quanto possiamo pensare.

Sicuramente non un film facile, che può non piacere a chi si aspetta un film sugli "ammazzamenti" o un thriller con la catarsi finale della scoperta dell'identità del serial killer. Zodiac,il film, da questo punto di vista implode. Ma è certo una gran prova e un film con molti livelli di lettura, molti di più di quelli che si possa immaginare pagando il biglietto e i popcorn all'ingresso del warner village.

4 commenti:

patti ha detto...

a me è piaciuto molto. soprattutto lo scout Gyllenhall, quanto me piace con quella faccia da imbranato tenero

però metà del film l'ho passata a ridere vedendo trip che girava la faccia nello stesso momento in cui la giravo io e che minacciava dopo i primi 15 min "io arvò"... che uomo temerario!

Anonimo ha detto...

Ma perchè, perchè non hai fatto il critico cinematografico???

Personaggio Narrante ha detto...

perché non ci arrivo. Semplice.

Anonimo ha detto...

Keep up the good work.